Palazzo della Sapienza, Aula magna nuova, ottobre 1979.
Discorso del vincitore del Premio internazionale Galileo Galilei dei Rotary italiani 1979 prof. Helmut Coing
Mi sento profondamente commosso per il grande onore che mi è stato fatto designandomi per questo Premio internazionale Galileo Galilei.
Tale Premio è destinato a quegli studiosi che abbiano contribuito con le loro ricerche al progresso degli studi sulla cultura italiana ed il suo significato per l’Europa.
Per quanto concerne la mia persona, non mi pare di poter far valere simili meriti, tuttavia posso dire che determinati aspetti della cultura italiana sono stati costantemente oggetto dei miei interessi scientifici ed appunto di questi interessi mi permetterò di parlar Loro in questa occasione.
Si tratta materialmente del campo di ricerca della storia del diritto. E’ mia profonda convinzione che l’ordinamento giuridico, cioè la disciplina dei rapporti e conflitti umani nella società, costituisca un fattore fondamentale di cultura, in particolare della cultura europea. Altre culture sono caratterizzate in maniera maggiore da fattori religiosi e morali: basti pensare al mondo cinese ed islamico. Per quanto riguarda la cultura europea, quest’ultima viene caratterizzata fin dall’epoca dell’Antichità dal particolare peso che in essa assume la strutturazione giuridica dell’ordine sociale.
L’Italia ha svolto nello sviluppo della moderna cultura giuridica europea un ruolo tutto particolare e fondamentale. A questo riguardo mi pare di poter mettere in luce quattro aspetti essenziali.
1. - Innanzitutto furono degli studiosi italiani che nell’undicesimo e dodicesimo secolo ricuperarono agli studi scientifici il diritto romano dell’Antichità sotto le spoglie del Corpus Juris dell’imperatore bizantino Giustiniano.
2. - Furono proprio questi giuristi italiani che svilupparono un metodo scientifico unitario per l’interpretazione di tali fonti del diritto romano, e che quindi introdussero per la prima volta in Europa - e forse nel mondo - un metodo scientifico nell’interpretazione del diritto.
3. - L’insegnamento giuridico, che sulla base di questo metodo venne impartito nelle facoltà giuridiche italiane, in particolare nell’Università di Bologna, costituì il modello per l’insegnamento giuridico in tutte le Università dell’Europa medievale.
4. - I giuristi italiani adattarono il diritto dell’Antichità al dato sociale dell’età tardomedievale. In tal maniera essi crearono la base per la diffusione del diritto romano nell’Europa continentale, cioè per la cosiddetta Recezione del diritto romano-canonico e per la formazione di un Jus Commune unitario nell’Europa continentale.
Il fenomeno complessivo di questa Recezione ed il problema della formazione di un diritto romano-comune europeo hanno attirato fin dagli inizi della mia carriera scientifica i miei interessi e sono rimasti costantemente un oggetto centrale delle mie ricerche e delle mie riflessioni.
In particolare mi ha innanzitutto affascinato il fenomeno singolare, per cui il metodo di educazione e formazione giuridica sviluppato in Italia si impose in tutte le altre Università europee come modello per l’insegnamento giuridico. Per studiare più da vicino questo fenomeno cominciai a dedicarmi alla storia delle Università, in particolare alla storia delle facoltà giuridiche in Europa, ed a studiare con metodo comparativo il loro rispettivo sviluppo.
Il risultato di queste ricerche si può riassumere nella constatazione, che le facoltà di giurisprudenza nell’Europa medievale furono in effetti organizzate secondo il modello delle Università italiane, in particolare di quella di Bologna. Negli statuti di fondazione di certe Università si fa addirittura espresso riferimento a Bologna, così per esempio in occasione della fondazione dell’Università aragonese di Lerida nell’anno 1300; in questo statuto viene espressamente stabilito, che gli studi di diritto debbono aver luogo in maniera analoga a come è consuetudine in Bologna. Tuttavia anche in mancanza di una simile espressa statuizione, ci si orientò sempre al modello bolognese.
Il significato di un simile sviluppo non va sottovalutato. In questi secoli i giuristi compaiono per la prima volta come determinato gruppo sociale, e lo sviluppo da me sopra accennato ebbe come conseguenza che tutti i giuristi nell’Europa continentale fecero degli studi identici, si basarono su delle regole e su dei principi giuridici identici e si formarono sulla base di un metodo scientifico unitario. Negli stessi anni si formò una comune letteratura giuridica.
Gli scritti dei giureconsulti italiani vennero letti ed utilizzati in Spagna così come in Germania ed in Inghilterra. In ciò risiede senz’altro uno dei contributi più eminenti e più significativi che l’Italia ha apportato allo sviluppo culturale dell’Europa.
Il secondo problema sul quale, in rapporto al fenomeno della recezione del diritto romano, si rivolsero i miei interessi scientifici, è costituito dal metodo con cui i giuristi medievali italiani riuscirono ad applicare il diritto romano dell’Antichità ai rapporti sociali del loro tempo. Bisogna a questo riguardo innanzi tutto rendersi conto che la società del Medioevo era profondamente diversa da quella dell’Antichità. Fu quindi necessario mettere in atto un grande sforzo intellettuale, per poter applicare le regole giuridiche emergenti da un mondo culturale del tutto diverso in questa nuova realtà sociale.
Io non voglio soffermarmi sul problema generale del metodo della scienza medioevale, sulla cosiddetta Scolastica. Mi pare qui più opportuno approfondire piuttosto alcuni caratteri particolari che ho riscontrato nello studio dell’opera di Bartolo, il maggiore dei giureconsulti italiani medioevali.
I giuristi italiani dell’età medioevale considerano i testi del diritto romano, cioè i passi del Corpus juris di Giustiniano, come un’autorità assoluta ed al di là della storia. Un qualsiasi punto di vista storico comporta necessariamente la conseguenza di relativizzare il significato dell’oggetto analizzato. Questa relativizzazione dipendente da un’osservazione storica si presenta per l’uomo d’oggi come una cosa del tutto naturale. Al contrario essa viene del tutto ignorata dal giurista medievale nell’utilizzazione del diritto romano.
Appunto per ciò questi giureconsulti ebbero tutta un’altra visione delle strutture sociali, quali esse emergono dalle fonti del diritto romano. Per un giurista come Bartolo non vi sono differenze tra le basi della vita sociale nella sua epoca e quelle caratterizzanti lo stato imperiale romano. L’imperatore medievale non è altri che l’immediato successore degli imperatori romani. E nei casi in cui le fonti romane fanno menzione della figura del governatore provinciale, del ‘Praeses provinciae’ che coi suoi assessori siede a giustizia, Bartolo vi vede un’immediata analogia coi podestà ed i loro assessori, quali erano in funzione nei comuni italiani medievali. Analogamente, quand’egli riscontra nella pratica giuridica del suo tempo una comunione dei beni tra marito e moglie, egli la qualifica senz’altro una "Societas omnium bonorum", di cui parlano vari passi delle fonti romane.
In conseguenza di questo atteggiamento nei confronti delle fonti, le regole casuistiche dei giureconsulti romani diventano per un giurista come Bartolo universalmente applicabili. Esse possono essere estese innanzitutto in via di analogia ai contemporanei rapporti sociali; inoltre si può anche sviluppare dalla decisione di un caso singolo un principio generale, che permetta di individuare dei criteri giuridici per la soluzione di una questione attuale. Attraverso questa tecnica Bartolo e gli altri grandi giureconsulti italiani del quattordicesimo e del quindicesimo secolo riuscirono ad inquadrare giuridicamente la realtà del loro tempo sulla base di testi antichi più di mille anni.
Vi è tuttavia anche un altro aspetto del lavoro dei giureconsulti italiani della scuola dei commentatori che ha sempre occupato le mie riflessioni e la cui eminente importanza mi è divenuta più chiara in occasione di ricerche recentemente intraprese. Considerando la storia giuridica europea nel suo insieme, vi si possono distinguere due momenti strutturali fondamentali. Un primo sistema di vita giuridica è caratterizzato dalle condizioni e dalle convinzioni tipiche del mondo della popolazione cittadina. Questo fu il diritto della antica Polis, della Urbs romana, e così pure dei comuni medioevali in cui vissero Bartolo ed i suoi colleghi. Un altro tutto diverso tipo di vita giuridica è costituito dal mondo del feudalismo, che ha caratterizzato le istituzioni dell’Alto Medioevo ed ha fornito le basi alla "Common Law" anglosassone. Gli antichi testi che costituirono la base del lavoro dei giureconsulti italiani medioevali offrono a questo riguardo un quadro contrastante. La base sociale del diritto romano fu senz’altro l’antica Polis. Lo ‘jus civile’ romano fu senza dubbio originariamente l’ordinamento giuridico di liberi cittadini. Questo diritto si ritrova in particolare nei Digesti, nella parte più importante del Corpus juris.
Accanto a questo gruppo di norme esiste però anche un’altra tradizione giuridica del diritto romano. Essa compare nell’ambito del Corpus juris soprattutto nel Codex e nelle Novelle. Si tratta del mondo della tarda Antichità, caratterizzato non solo da uno stato assoluto ma pure dal processo di formazione di una "Grundherrschaft", cioè di una signoria terriera. È affascinante osservare come i grandi giureconsulti italiani del medioevo si sono comportati di fronte a questa differenziata tradizione giuridica romana. Da un canto essi utilizzarono i testi del Codex per analizzare le istituzioni medioevali. Per esempio le norme romane sul colonato ebbero un’importanza notevole per l’inquadramento giuridico della signoria terriera medioevale. D’altro canto questi giureconsulti misero costantemente l’accento sui principi che erano stati caratteristici del libero stato romano. Si ha come l’impressione che nelle loro deduzioni giuridiche lo spirito libero della "civitas romana" risorga a nuova vita. Così nel pieno di un contesto sociale caratterizzato ancora dal feudalismo, essi difendono il principio che giuridicamente si debba sempre presumere che un fondo sia libero da vincoli feudali; il famoso principio del diritto feudale francese "nulle terre sans seigneur" viene così ridotto ad una eccezione alla regola. E nei casi in cui questi giuristi debbono accettare in base alla tradizione l’esistenza di oneri personali, essi sviluppano il principio generale che in caso di contestazione questi oneri si presumano limitati e precisamente determinati.
Un ulteriore fenomeno mi pare particolarmente caratteristico dell’atteggiamento sopradescritto dei giureconsulti italiani medievali. Spesso i signori feudali pretesero di avere il diritto di poter sempre comprare i fondi dei loro contadini anche contro la volontà di questi ultimi. La scienza giuridica italiana vi si oppose. Essa insegnò che una espropriazione è ammissibile solo nel caso di una "utilitas publica", ma non per una "utilitas privata". Così alla utilizzazione privata di diritti signorili, quale fu caratteristica del feudalismo, viene opposto il principio di un potere pubblico legato a degli scopi ben precisi, che è l’idea dello stato moderno.
Gli esempi che io ho addotto sono degli aspetti particolari di un imponente fenomeno culturale, in conseguenza del quale si è venuto formando in tutta l’Europa un pensiero giuridico unitario. Quest’ultimo si basò non soltanto su un metodo comune ma anche su un complesso unitario di regole e di norme. L’Italia ha creato qui un’eredità comune, la quale può anche costituire la base di partenza per un nuovo diritto comune europeo.
Mi pare che l’influenza della scienza giuridica italiana sia senz’altro comparabile all’influenza dell’arte italiana, in particolare ai grandi modelli dell’architettura e della pittura del Rinascimento e del Barocco. A questo punto mi permettano di concludere con una osservazione personale. La mia attività scientifica è stata costantemente dedicata alla scienza giuridica, per una buona parte alla storia del diritto. La mia predilezione personale va tuttavia piuttosto all’architettura del Rinascimento e del Barocco italiani, va a un Brunelleschi, a un Bramante, a un Bernini. Io credo di far parte di quel grande numero di miei compatrioti tedeschi, che vedono nell’Italia una loro seconda patria ed è perciò con profonda commozione che ricevo questa onorificenza italiana.
Da: http://www3.humnet.unipi.it/galileo/fondazione/Vincitori%20Premio%20Galilei/Helmut_Coing.htm (consultata in rete il 10.03.2010).