Palazzo della Sapienza, Aula magna nuova, 7 novembre 1966.
Relazione del Magnifico Rettore, prof. Alessandro Faedo tenuta in occasione della inaugurazione dell’anno accademico 1966-1967
Eccellenze, autorità, signore e signori, colleghi, studenti,
prima di iniziare la lettura della relazione sul decorso anno accademico, desidero esprimere la solidarietà dell’Università di Pisa, dei suoi professori e dei suoi studenti, a tutti coloro che hanno sofferto per l’immane disastro che ha colpito l’Italia; in particolare la nostra affettuosa partecipazione va alle popolazioni pisane e toscane, alle istituzioni culturali fiorentine e, prima fra esse, all’Università di Firenze.
Possano le sventure di oggi ammaestrare per l’avvenire; mi auguro altresì che gli istituti universitari italiani contribuiscano, come è loro preciso dovere, ad indicare ai responsabili quanto la scienza può offrire per evitare il ripetersi di sì gravi sciagure.
Ringrazio tutti i professori, gli assistenti e gli studenti che in questi giorni hanno dato e continueranno a dare la loro opera in soccorso delle popolazioni colpite, sia come iniziativa personale, sia come collaborazione alle iniziative ufficiali dell’Università, degli Istituti e delle organizzazioni studentesche.
Un particolare ringraziamento va a coloro che si recano ogni giorno a Firenze per il salvataggio di opere d’arte, di libri e di apparecchiature scientifiche, alcune delle quali sono state portate a riparare nei nostri Istituti, dove pure hanno trovato assistenza anche i meno costosi, ma ugualmente a noi cari e preziosi, apparecchi didattico-scientifici delle scuole di Pontedera.
La cerimonia, che per secolare consuetudine apre l’attività di un nuovo anno accademico, ricorda - per la solennità e l’ambiente in cui si svolge - le antiche e illustri tradizioni della nostra Università impegnando docenti e allievi ad esserne degni.
Affinché ciò si possa realizzare non sono però sufficienti il valore, l’entusiasmo e la buona volontà dei docenti e degli allievi, ma devono anche essere attuati quei provvedimenti che da tempo attendiamo, per mettere l’Università in grado di poter assolvere ai propri fini istituzionali, consistenti nel promuovere e sviluppare l’alta cultura e la ricerca scientifica e nel preparare i giovani alle professioni.
Dal raggiungimento o meno di questi fini dipende non solo - come per il passato - il contributo alla civiltà che potrà dare il nostro Paese, ma anche gran parte del suo progresso sociale ed economico, strettamente legati oggi a quello scientifico.
Per questo, nella solenne inaugurazione dell’anno accademico, il rettore ha il dovere non solo di riferire, come di consueto, sulle vicende dell’anno decorso, ma anche quello di dare il proprio parere responsabile sull’attuale situazione dell’Università italiana.
Lo scorso anno la famiglia universitaria pisana ha subìto alcune gravi perdite, che hanno suscitato vasti rimpianti.
Ricordo, fra i professori di ruolo, Arturo Massolo, ordinario di Storia della filosofia, e Italo Simon, emerito di Farmacologia, che all’Università ha dato una preziosa e lunga attività didattica e scientifica e alla città di Pisa - in tempi calamitosi - la sua opera fervida di cittadino.
Ricordo ancora il prof. Augusto Massimo Michelazzi, incaricato di Medicina del lavoro, medico e studioso insigne, la cui scomparsa ha lasciato un vivo rimpianto.
Fra i tecnici di ruolo ricordo Tommaso Bernardeschi, Virgilio Cirri e, in particolare, Fernando Cecchi, prematuramente scomparso, esempio costante di una coerente ed operante vita cristiana.
Ricordo ancora fra gli amministrativi Fedora Pampana, fra gli ausiliari Ruffo Ricoveri e Carlo Pieroni e, tra gli operai, Arnaldo Traforelli e il giovanissimo Moriano Franchi, deceduto per infortunio sul lavoro, a conferma che anche all’Università il progresso miete le sue vittime.
Sono stati collocati a riposo il prof. Arturo Santoro, già preside della Facoltà di giurisprudenza e il prof. Enrico Pistolesi, già preside della Facoltà di ingegneria. Ad essi vada l’augurio di una vita lunga e serena. In particolare desidero rinnovare al prof. Pistolesi, che lungo l’arco della sua vita operosa ha fatto fiorire e sviluppare la Facoltà di ingegneria, le espressioni di gratitudine della nostra Università.
Invio un saluto e un ringraziamento per l’opera qui prestata ai colleghi che sono passati ad altra Università: ai proff. Giotti e Pizzorusso, trasferiti a Firenze, al prof. Menegazzi, e alla prof. Riva Sanseverino, trasferiti rispettivamente a Padova e a Milano.
Sono stati trasferiti a Pisa da altri Atenei i proff. Paolo Meletti, di Botanica, Veniero Del Punta, di Politica economica e finanziaria, Emilio Cristiani, di Storia, e Giuseppe Nenci, di Storia greca e romana.
Sono stati nominati straordinari in seguito a concorso: Andrea Panattoni, di Estimo rurale e contabilità, Ezio Tongiorgi, di Geologia nucleare, Gianfranco Capriz, di Meccanica razionale, Nicola Badaloni, di Storia della filosofia, Salvatore D’Albergo, di Diritto amministrativo, Giuseppe Pera, di Diritto del lavoro.
A tutti i nuovi colleghi porgo un cordiale benvenuto con l’augurio di un lavoro sereno e fecondo.
Un particolare saluto ed augurio invio anche ai proff. Willy Tangheroni e Carlo Toselli, già assistenti nell’Università di Pisa, nominati professori straordinari nella Università di Cagliari e ai proff. Salmon e Villani, già assistenti alla Scuola Normale Superiore, e ora professori dell’Università di Genova.
Lo scorso anno accademico è stato solennemente inaugurato, alla presenza del Presidente della Repubblica, il Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico, dotato del grande calcolatore elettronico 7090 IBM, Centro che, nell’arco dell’anno, ha ormai esteso la sua collaborazione a tutte le Università italiane.
Tra le manifestazioni più salienti, che si sono avute successivamente, ricordo le onoranze al prof. Enrico Pistolesi, la Conferenza internazionale sulle proteine marcate, il Congresso internazionale sulle applicazioni delle materie plastiche in agricoltura, la Tavola rotonda sui linguaggi di simulazione e il Congresso internazionale, sullo stesso argomento, dell’IFIP; i congressi nazionali delle Società di Psichiatria e di Neuropsichiatria infantile, il Convegno dell’Unione zoologica italiana.
È diventata ormai una simpatica consuetudine la cerimonia delle nozze d’argento e d’oro con la laurea, che richiama a Pisa periodicamente gli ex allievi della Università, per la quale esprimiamo il nostro ringraziamento all’EPT di Pisa, che ogni anno la promuove e la cura.
Nello scorso anno accademico l’Università di Pisa ha ricevuto dallo Stato 4 nuove cattedre, 23 posti di assistente di ruolo, 4 di tecnico laureato e 5 di tecnico diplomato.
Accanto al contributo ordinario dello Stato di L. 270 milioni, che la legge 1073 ha decurtato per far posto all’assegno di studio, abbiamo avuto contributi straordinari sul Piano della Scuola di 400 milioni per l’edilizia, e, per attrezzature didattiche e scientifiche o altre finalità specifiche, altri 240 milioni. Situazione anomala, su cui ritornerò, essendo il contributo ordinario, l’unico costante e sicuro in base al quale può fondarsi una visione del futuro, divenuto insignificante rispetto ai contributi straordinari, aventi carattere eccezionale e aleatorio.
Fra le convenzioni stipulate lo scorso anno dalla Università, ricordo quelle con il CNEN per il Laboratorio di geologia nucleare e con l’Istituto di impianti nucleari e quella con il Ministero della Sanità per il Centro per la lotta contro le malattie cardiovascolari e reumatiche.
È stato pure perfezionato l’acquisto di uno stabile in Piazza Torricelli, che l’Università aveva già preso in locazione per l’Istituto di fisica.
Ma è con il CNR che l’Università di Pisa ha maggiormente intensificata la collaborazione. Infatti, in virtù della posizione di guida che abbiamo preso per porre su nuove più strette e razionali basi i rapporti fra le Università e il CNR, sono stati stipulati contratti di ricerca per vari istituti per un importo di un miliardo e 200 milioni, che moltiplica per un fattore 8 quanto ha potuto dare di dotazione annua ai propri istituti l’Università di Pisa. Situazione questa patologicamente anormale e su cui avrò occasione di ritornare.
Ma il nostro debito di gratitudine al CNR non è ancora finito, perché abbiamo potuto realizzare due altre iniziative di risonanza internazionale: l’istituzione a Pisa del Laboratorio nazionale di neurofisiologia, diretto dal prof. Moruzzi, la cui nuova sede è stata costruita con i fondi del CNR e il Laboratorio nazionale di fisiologia clinica, diretto dal prof. Monasterio, cui rinnovo l’augurio di un rapido ritorno alla direzione della sua Clinica, per cui abbiamo già avuto l’assegnazione dei mezzi occorrenti e di cui è in corso la realizzazione. Questi due Laboratori, insieme con quello già esistente del CSCE, costituiscono grandi realizzazioni del CNR a Pisa. Compio perciò il gradito dovere di manifestare la nostra riconoscenza al presidente del CNR, prof. Caglioti, e al presidente del Comitato per la Biologia, prof. Califano, per la comprensione dimostrata e per l’aiuto offertoci nel risolvere questi due problemi, essenziali per mantenere il livello scientifico internazionale conquistato dalla nostra Università in questi campi.
Nello scorso anno accademico i nostri studenti hanno continuato ad aumentare, raggiungendo il numero di 14.407.
La tendenza all’aumento si è accentuata per due fenomeni concomitanti:
1. L’afflusso delle più numerose leve del dopoguerra e le migliorate condizioni economiche, che allargano la schiera delle famiglie desiderose di inviare i propri figli all’Università.
E’ questo un fenomeno naturale, motivo solo di rallegramento, tanto più che, per la sua gradualità, non avrebbe prodotto situazioni di squilibrio.
2. L’ammissione indiscriminata all’Università dei giovani provenienti dagli istituti dell’ordine tecnico.
Dall’anno accademico 1961-62, in virtù di una legge, è stato consentito ai giovani diplomati da tali scuole di accedere all’Università per concorso a un numero limitato di posti, fissato da ogni facoltà in ragione delle proprie capacità ricettive.
Considerai tale legge provvida, sia perché rispondeva a una insopprimibile esigenza sociale, sia perché, come docente, ho trovato, tra questi giovani, allievi di qualità veramente notevoli.
La legge prevedeva che, dopo quattro anni di applicazione, il numero chiuso e il concorso venissero aboliti.
Il legislatore, di temperamento ottimista, evidentemente pensava o sperava che nei quattro anni previsti, in virtù del Piano della Scuola, le Università si sarebbero potute attrezzare per accogliere la nuova massa di iscritti. Invece, a tutt’oggi, del Piano si è appena iniziata la discussione in Parlamento e gli stralci già attuati, pur dando notevoli contributi finanziari, sono serviti soltanto a colmare precedenti lacune e a fronteggiare il già citato naturale aumento.
Vista la situazione, sarebbe stato doveroso prorogare il numero chiuso, eventualmente estendendolo per equità agli studenti provenienti da ogni ordine di scuola, instaurando così una selezione esclusivamente basata sul merito.
Tale seria decisione sarebbe stata indubbiamente impopolare; sono però dell’avviso che ad essa dovremo fatalmente arrivare ove non intervengano provvedimenti di natura eccezionale - se si vuole mantenere un dignitoso livello all’istituto universitario.
In Italia si è creata così la seguente situazione paradossale: mentre per le scuole medie è prescritto che il numero degli alunni di una classe non possa superare i 35, nessuna limitazione è posta per i corsi universitari, ivi compresi i laboratori e i seminari.
Non è infrequente il caso in cui il funzionamento di un corso sia affidato alla negligenza degli allievi che, trascurando la frequenza, rendono possibile lo svolgimento delle lezioni alla minoranza diligente.
Ad aggravare la situazione sono sopravvenuti ulteriori provvedimenti volti ad allargare le categorie di diplomati cui sono state spalancate le porte dell’Università, rivelando un florido sottobosco di scuole, di alcune delle quali confesso che ne ignoravo l’esistenza.
La legge da provvida che era, è automaticamente divenuta improvvida, minando alla base il funzionamento dell’Università.
Per documentare la gravità e l’ampiezza del fenomeno, citerò quanto è accaduto nella nostra Facoltà di ingegneria; il fenomeno è però ugualmente grave nelle Facoltà di scienze, di medicina e chirurgia e di economia e commercio.
Lo scorso anno gli immatricolati alla Facoltà di Ingegneria sono raddoppiati rispetto all’anno precedente, passando da 350 a 700.
Si tratta di studenti seri, che frequentano con assiduità le lezioni, e sulla cui negligenza non si può contare per rendere sufficienti le aule. All’inizio dei corsi la situazione si è rivelata insostenibile essendo materialmente impossibile di far entrare i giovani in aula. Pertanto, mi sono presa la responsabilità di sdoppiare tutti i corsi del I anno di Ingegneria. Tale mia decisione era illegale, perché le norme vigenti, attribuendo alle autorità accademiche qualità divinatorie, prescrivono che gli sdoppiamenti dei corsi vengano richiesti almeno quattro mesi prima della chiusura delle iscrizioni.
Dobbiamo esser grati al Ministro Gui che - facendo leva sulle norme della Costituzione - ha potuto persuadere il Tesoro ad accollarsi la spesa di tale sdoppiamento.
Sono però rimaste a carico dell’Università, che spera di ottenerne il rimborso dallo Stato, tutti gli oneri per il personale assistente ed ausiliario e l’ancor più grave problema dei locali, di cui mi occuperò tra breve. Sulla speranza di rimborsi da parte dello Stato parlerò più avanti.
Va chiarito che questo forte aumento del numero degli studenti non è stato un fatto contingente; si poteva infatti pensare che lo sblocco improvviso del numero chiuso avesse portato all’Università una massa di diplomati in attesa da anni di potervi accedere. Quei diplomati erano invece già immessi nel mondo del lavoro e solo in minima parte hanno avuto il tempo e la voglia di continuare gli studi. Ciò ho potuto accertare in base a ricerche statistiche effettuate lo scorso anno, confermate dalle immatricolazioni ora in corso, che hanno già raggiunto il numero dell’anno passato.
Per questo il Senato accademico ha deliberato di non concedere proroghe alla data ufficiale di chiusura delle immatricolazioni, la quale, tuttavia, potrà essere riaperta solo per i corsi di laurea per cui i Consigli di Facoltà dichiarino di avere ancora posti disponibili e ne indichino il numero.
Il problema dell’edilizia, delle aule e dei laboratori, deve considerare quindi questa onda di piena che, anno per anno, sommerge la Facoltà di ingegneria ed esige un numero doppio di posti di studio e di laboratorio.
Per continuare con questo linguaggio di tragica attualità, comunico che lo scorso anno abbiamo costruito ripari e muretti volti a contenere l’onda nel biennio propedeutico, ad uso del quale abbiamo anche iniziato la costruzione di un valido scolmatore; il problema, per il triennio di applicazione, dove le necessità sperimentali e le specializzazioni sono molto maggiori, è di gran lunga più difficile; necessitano mezzi ingenti, di cui occorrerebbe fin d’ora avere l’assicurazione, per essere pronti quando l’onda sommergerà il primo anno del triennio.
I muretti e i ripari di cui ho parlato sono consistiti nell’attrezzare ad aule tutto lo spazio disponibile: cito tra l’altro l’ex cinema dei Salesiani, alcuni locali in costruzione per gli istituti chimici della Facoltà di scienze e non ancora ad essi consegnati, e altri locali ricavati nell’ambito dell’ex pastificio Poli, dove fra un anno andrà l’Istituto di idraulica.
Lo scolmatore per il biennio consiste invece in un grande edificio di sole aule per le lezioni e per il disegno, che verrà costruito in un’area adiacente alla sede della Facoltà e già di proprietà dell’Università.
Trattandosi di un grande edificio, di soluzione non facile per la forma dell’area e per la quantità delle aule richieste, il Consiglio di amministrazione dell’Università ha deliberato di provvedere alla progettazione e all’assegnazione dei lavori, mediante un appalto concorso.
Per il finanziamento (oltre 450 milioni) il Consiglio di amministrazione ha concentrato su tale edificio quanto restava della gestione dell’ultimo stralcio del Piano della scuola, assumendosi inoltre l’onere della copertura della rimanente spesa, per non ritardare un’opera di tanta necessità.
Ebbene, per gli studi preliminari, la stesura del capitolato, le necessarie autorizzazioni sul piano locale e regionale e per i tempi tecnici necessari per l’espletamento dell’appalto concorso, è passato quasi un anno (nel frattempo l’onda degli studenti ha allagato il II corso).
Tale tempo, che nella mia ansia di fare è sembrato lunghissimo, è però da considerarsi breve per la complessità dei lavori eseguiti; desidero perciò ringraziare l’ufficio tecnico dell’Università e il suo Direttore ing. Severini per l’opera svolta; insieme ringrazio il Genio Civile di Pisa, il Provveditorato alle OOPP per la Toscana.
Un particolare ringraziamento rivolgo alla Commissione tecnica che ha giudicato i progetti concorrenti e che ha lavorato con intelligenza e sacrificio in continua lotta col tempo: il preside della Facoltà d’ingegneria, prof. Lazzarino, l’ing. Fazio, capo. dell’Uff. tecnico erariale di Pisa, l’ing. Palmerini dell’ENEL, Il Direttore amministrativo, dott. Petraglia e ancora l’ing. Severini.
Si attende entro pochi giorni l’accettazione della Ditta vincitrice e, dopo che il progetto vincitore avrà avuto l’approvazione del Provveditorato alle OOPP, potremo vedere iniziare i lavori per un grande edificio, con tecnica prefabbricata, che dovrebbe essere pronto in sette mesi. E’ da sperare che l’attuale drammatica situazione. del Provveditorato alle OOPP conduca, in casi come questo di provata urgenza, a procedure rapide, eventualmente delegate alla sede locale.
Con l’anno venturo il biennio di ingegneria dovrebbe avere almeno per le aule di lezione e di disegno - una sede appropriata, mentre frattanto l’onda avrà raggiunto il triennio di applicazione e questa inumana fatica di Sisifo riprenderà ancora.
A ciò io sto pensando in questi giorni, avendo ottenuto, in sede di piano regolatore, la disponibilità di un’ampia area prossima alla sede della Facoltà d’ingegneria.
Ma per poter affrontare questo problema, occorre attendere l’approvazione della legge sull’edilizia universitaria, per la struttura della quale prevedo che i tempi di esecuzione dei lavori saranno purtroppo molto più lunghi.
Infatti, non soltanto ora dovremo partire dall’acquisto delle aree, mentre per l’edificio del biennio l’area era già dell’Università, ma dovremo fare i conti con una legge che appare molto più macchinosa dell’attuale 1073 e che, oltre ad allungare i tempi, farà aumentare indubbiamente i costi.
Anzitutto è da osservare che gli stanziamenti previsti dalla legge a disposizione effettiva delle Università per l’edilizia, dedotto quanto riservato alle Università di nuova istituzione e al settore assistenziale e sportivo, sono inferiori alla metà di quanto responsabilmente era stato richiesto dai rettori, quando i prezzi erano inferiori agli attuali.
Ma non è di ciò che mi dolgo, perché mio dovere è di indicare i problemi e, tenendo conto dei mezzi che lo Stato può o intende oggi investire per le Università, indicare quelle che ritengo le soluzioni più appropriate.
Le spese per l’Università vanno considerate come investimenti a lungo termine e gli immani problemi posti dalle odierne sciagure nazionali non agevoleranno certamente il reperimento di fondi atti a far funzionare l’Università con l’attuale struttura.
Ciò di cui invece altamente mi dolgo, sono le nuove complicazioni introdotte dalla legge per l’edilizia.
Infatti i contributi per l’edilizia assumono una forma differenziata rispetto agli altri contributi che lo Stato dà all’Università, nel senso che, diversamente da questi ultimi, i primi non vengono più versati direttamente all’amministrazione universitaria, ma sono depositati in un conto corrente infruttifero acceso presso la Tesoreria provinciale ed erogati successivamente in relazione agli stati di avanzamento dei lavori. Inoltre, il pagamento alle Imprese non avviene più direttamente da parte dell’Università, senza intromettenze burocratiche aggiuntive, ma sulla base di autorizzazioni da darsi di volta in volta dal Ministero della PL con una procedura molto più lunga e macchinosa di quella della legge 1073, che ritarderà i lavori e aumenterà i costi (ciò sempre accade se l’imprenditore sa che sarà pagato più tardi).
Questo deposito infruttifero dei contributi presso le Tesorerie provinciali sarebbe un provvedimento moralizzatore, atto ad impedire che le Università godano degli interessi di tali somme nelle more fra la loro assegnazione e l’effettiva esecuzione dei lavori
A parte il fatto che tali interessi entrano nel bilancio universitario e attenuano la lievitazione dei prezzi che sempre è avvenuta durante il lungo iter richiesto, tale procedura è un invito alla virtù da parte di una donzella che di virtù sarebbe bene non parlasse: alludo alla sistematica situazione debitoria dello Stato verso le Università, costrette - quella di Pisa per centinaia di milioni e sul piano nazionale per molti miliardi - ad anticipare al proprio personale stipendi dovuti per sacrosanto lavoro eseguito, in attesa che la mastodontica macchina dello Stato - con ritardo di molti mesi e spesso di anni - rimborsi - naturalmente senza interessi - l’Università.
Aggiungo che le nuove lungaggini introdotte sono soltanto formali mancando il Ministero della PL di organi tecnici idonei; esse costituiscono un nuovo attentato all’autonomia universitaria, proprio nel momento in cui sarebbe più urgente sveltire le procedure.
Aggiungo ancora che l’unica concreta garanzia allo Stato del buon impiego del pubblico denaro la può offrire l’amministrazione che è sul posto e che può giorno per giorno controllare la qualità e la quantità del lavoro eseguito. Per l’antica Università di Pisa, situata nel centro storico cittadino, non ha oggi senso - per le insormontabili difficoltà economiche che vi si oppongono - concepire la costruzione di una nuova sede in un’area periferica, lasciando gli edifici attuali.
Ne consegue che l’Università spesso si ampli con l’acquisto di vecchi edifici talvolta di valore artistico, e che solo per questa via possono essere conservati alla città di Pisa.
Ebbene, la nuova legge per l’edilizia considera l’acquisto di edifici già esistenti come soluzione eccezionale e prevede per esso un’ulteriore approvazione ministeriale, sentito il parere di una commissione nazionale, del tutto inutile.
La legge prevede un piano quinquennale per l’edilizia di ogni Università e questo è un suo aspetto positivo, pur potendosi male congegnare un piano non sapendo a priori quale sarà la somma a disposizione.
Ripeto che, per meglio esemplificare, ho parlato esplicitamente dei problemi della Facoltà di ingegneria, ma che ugualmente pressanti sono i problemi di altre Facoltà, per l’aumento degli studenti e lo sviluppo della ricerca. E’ in corso in questi giorni l’acquisto di un vasto stabile per l’ampliamento dell’Istituto di fisica della Facoltà di scienze, che darà respiro a uno dei settori più bisognosi di spazio.
Aggiungo ancora che nello scorso anno sono stati spesi per ulteriori lavori edilizi necessari alle varie Facoltà 334 milioni.
Oltre a ciò abbiamo potuto perfezionare le pratiche che involgevano 4 Ministri, per lavori di ampliamento alle Cliniche per 900 milioni; tale somma sarà utilizzabile non appena il Comune, l’Amministrazione provinciale di Pisa e lo Spedale di S. Chiara avranno la disponibilità finanziaria del 50% ad essi spettante e per cui essi hanno già richiesto mutui garantiti dallo Stato.
Apro una parentesi per rilevare, in merito ai 334 milioni spesi sul bilancio universitario per lavori edilizi, una nota triste costituita dal fatto che quasi 200 di questi milioni sono stati impiegati per la manutenzione dei nostri spesso vetusti edifici.
La legge 1073 aveva annunciato che tale manutenzione sarebbe passata a carico del Ministero dei LLPP, il quale però non è colpevole per non averla attuata, non avendo ricevuto a tal fine una qualunque integrazione del proprio bilancio. Pertanto anche questi 200 milioni andrebbero considerati come un’anticipazione, fatta dall’Università, per oneri che la legge prevede a carico della virtuosa donzella di cui ho già parlato a proposito del deposito infruttifero dei contributi per l’edilizia.
L’enorme aumento del numero degli studenti non pone soltanto il problema edilizio, ma anche quello dell’aumento adeguato del personale docente di ogni grado, del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, delle attrezzature in libri e apparecchiature e delle dotazioni degli Istituti per il loro funzionamento.
Da taluni si pensa che l’aumentato numero degli studenti, incrementando il gettito delle tasse da essi pagate, favorisca un miglioramento della situazione economica dell’Università.
Ciò è assolutamente falso; per accertarsene basti pensare al fatto che le tasse scolastiche sono, per ragioni politiche e sociali, immutate dal 1952 e che il costo complessivo di ogni studente è in media di gran lunga superiore alle tasse da lui pagate, sicché il deficit finanziario si può considerare in funzione crescente del numero degli studenti.
Dopo l’indagine parlamentare sull’Università italiana e il conseguente Piano Gui, il Governo ha presentato al Parlamento alcuni disegni di legge, tra cui quello già citato per l’edilizia e quello finanziario e relativo all’aumento di posti di professori e di assistenti; inoltre è stata approvata la legge sui professori aggregati che, se ben attuata, potrà portare benefici all’Università, assetata di ricercatori e di docenti.
Se motivi di urgenza hanno consigliato tale procedura settoriale, invece di un esame globale della situazione universitaria per attuare le attese indispensabili riforme, è augurabile che si utilizzi questo intervallo per meditare e migliorare tali riforme.
Il disegno di legge sul finanziamento propone notevoli aumenti del contributo dello Stato alle Università, che attestano la buona volontà del Governo, di cui occorre prendere atto. Ritengo però che i problemi da risolvere nel permanere dell’attuale situazione, non troveranno in tal modo una soddisfacente soluzione.
Oggi le Università vivono alla giornata, in attesa di contributi straordinari che risolvano i problemi più pressanti e senza poter lavorare con sicurezza per l’avvenire. Oberate come sono da spese fisse e indifferibili, quali quelle del personale a proprio carico, della manutenzione e locazione di edifici, delle spese varie di gestione, le Università possono lasciare agli Istituti delle dotazioni quasi simboliche, che ne limitano la funzionalità e ne rendono precaria l’attività didattica e scientifica la quale come ho già dimostrato, dipende quasi esclusivamente dai contributi erogati da altri Enti, primo e benemerito fra tutti il CNR. Occorrerebbe che le Università potessero contare su un finanziamento fisso che venisse incontro alle loro necessità vitali e permettesse dotazioni adeguate agli Istituti, per la loro normale attività.
Ciò porterebbe a cifre di un ordine ben più alto di quelle che il Governo ha inteso proporre al Parlamento. D’altronde, i gravi momenti che stiamo attraversando. ci impongono di esaminare se sarebbero utilmente investite e saggiamente impiegate tali somme, concesso pure che sia possibile ottenerle; la gravità del presente ci impone inoltre di riflettere se con esse potremmo trasformare in buoni laureati una notevole parte (non pretendo tutta) della folla di giovani che chiedono l’iscrizione all’Università.
La mia opinione in proposito è nettamente negativa e affermo che non possiamo continuare con inerzia nel lusso e nello spreco dell’accesso indiscriminato dei giovani alle Università, senza che venga attuata alcuna ragionevole programmazione. In tal modo si diluiscono e si disperdono mezzi che, se bene impiegati, potrebbero darci laureati migliori in ogni settore e in quantità più che sufficiente per l’avvenire.
Taluno obietterà che queste mie idee sono contro la libertà, garantita dalla Costituzione, la quale sancisce che ogni cittadino meritevole e capace possa accedere agli studi universitari; ma esse non sono affatto tali, perché sarebbe una ben misera libertà quella che concedesse l’accesso a Istituti superiori non in grado di fornire una serie preparazione e che sempre più si allontanassero dall’alto livello mantenuto dalle nazioni più progredite.
Oggi i giovani si iscrivono a un corso di laurea raramente per libera elezione, il più delle volte senza sapere perché o in base a mode o ad imitazione di quanto fatto da altri; è mia opinione poi che queste mode corrispondano a sperate linee di minor resistenza per conseguire una laurea.
Per citare degli esempi, abbiamo avuto nel passato nella Facoltà di scienze il boom della geologia, dovuto in parte ad amore per tale scienza e in parte a delusioni d’amore provate nel biennio di ingegneria. Tale moda è ora passata e siamo tornati a cifre normali di immatricolazioni; la moda degli ultimi tempi, per restare nel settore delle Scienze naturali, è passata alle Scienze biologiche, dove, da, poche decine, siamo passati l’anno scorso a 80 e quest’anno a 200 immatricolati.
Ciò ci porta a pazzeschi problemi organizzativi per attrezzare laboratori, che fra qualche anno potranno risultare superflui appena, verrà un nuovo cambiamento di moda. Un problema gravissimo è quello poi di sapere cosa potrà fare nella vita questa massa esuberante di laureati, tanto più quando sarà esaurita la pietosa - ma improvvida per i nostri figli - generosità della scuola media, che finora ha accettato il principio che qualunque laureato possa insegnare, anche se non è munito di una laurea specifica.
Questa situazione si presenta più o meno per molte Facoltà, in particolare in quella di ingegneria, dove sono possibili molte lauree differenziate, che vengono spesso scelte in base a fattori aleatori e non razionali, mancando ai giovani i dati e le indicazioni per scegliere il settore che garantisca loro un più utile inserimento nella società, quando avranno conseguita la laurea.
Una situazione del genere, in un’epoca in cui si parla di programmazione, è assurda e antieconomica.
Occorre che vengano programmate periodicamente le esigenze di laureati nelle varie specialità e che i rispettivi posti occorrenti vengano suddivisi fra le varie Università, in base alle effettive possibilità ricettive di ciascuna. Il potenziamento delle Università, o la creazione di nuove Università, deve essere basato su queste esigenze precise.
L’accesso alle Università, attraverso il numero chiuso, sia pure calcolato con prudente larghezza rispetto ai bisogni, va deciso esclusivamente in base al merito.
Ciò presuppone che venga prima risolto in modo concreto, il problema del diritto allo studio:
1) per porre tutti i giovani sullo stesso piano, qualunque siano le condizioni economiche;
2) per rendere possibile che gli studenti possano iscriversi ad Università anche lontane, se la più vicina non ha più posti.
Una delle forme di assistenza ai giovani più efficace per la caratteristica popolazione scolastica dell’Ateneo pisano è la mensa universitaria; in attesa dei fondi per costruire una nuova sede, abbiamo ampliato e resa più razionale quella attuale, con lavori per l’importo di 20 milioni.
Inoltre il Senato della Repubblica ha approvato la legge istitutiva dei collegi universitari, che legalizza la situazione di fatto esistente del Collegio Pacinotti e di quelli medico e giuridico, garantendone una vita sicura; la legge è ora all’esame della Camera dei Deputati e sarà mia cura seguirla fino alla sua completa approvazione.
Ma il problema più importante per il diritto allo studio è costituito dall’assegno di studio.
La legge 1073 ha istituito l’assegno di studio, che è stata una conquista di grande valore morale per gli studenti e la società italiana.
Ben sappiamo che quella legge è imperfetta, per l’ammontare degli assegni, per il loro numero e per i criteri adottati nella valutazione del merito e delle condizioni economiche.
Occorre che l’esperienza fatta sia messa a profitto per un rapido miglioramento delle modalità di assegnazione dell’assegno di studio.
Occorre infine che l’importo degli assegni consenta una effettiva possibilità di studiare e che il numero degli assegni copra il settore degli studenti buoni.
Lo scorso anno si sono concessi per gli studenti dell’Università di Pisa 442 assegni da L. 360.000 (per i residenti lontano da Pisa) e 203 da L. 200.000 per i residenti a Pisa o in località assai prossime. In totale sono stati così erogati agli studenti 200 milioni.
È una cifra cospicua se si pensa al passato, ma insufficiente agli effettivi bisogni. A parte il mio giudizio che gli assegni sono ancora esigui per chi solo con essi possa, ottenere di dedicarsi completamente agli studi, sono stati così aiutati 645 studenti e cioè poco più del 6% degli studenti in corso e meno del 5% se si considerano anche gli studenti fuori corso.
Perché l’assegno di studio, adeguatamente rivalutato, possa garantire il diritto allo studio, occorrerà che la percentuale degli aventi diritto possa salire rapidamente.
Io penso che le somme occorrenti saranno più produttive di tante altre che ora ci sembrano indispensabili, perché siamo abbagliati dalla valanga di iscritti che affolla le nostre aule.
Soltanto dopo aver risolto. il problema del diritto allo studio, avrà senso accogliere nell’Università un numero limitato di studenti selezionati in base al solo merito. In tal modo dovrebbe venire automaticamente abolita la piaga dei fuori corso, perché gli studenti che frequentano l’Università lo faranno a pieno tempo, con vera attitudine allo studio, e con controllo periodico dell’adempimento dei doveri, che daranno loro il diritto a restare nell’Università.
Queste mie parole potranno a taluni apparire utopistiche e gettate al vento. Io sono certo che potranno mutare le soluzioni, ma il problema deve essere posto con urgenza, se si vuole bene utilizzare questo colossale patrimonio a noi affidato.
L’Università di Pisa ha il diritto, per la sua tradizione e per il valore dei suoi docenti, di chiedere che le sia garantito il buon livello dei suoi laureati, beneficiando di maggior mezzi e avendo il permesso di meglio utilizzarli attraverso più adeguate strutture.
Desidero solo accennare, per mettere in evidenza questo nostro diritto, ai più recenti successi di alcuni tra i nostri più illustri valorosi docenti scegliendo, per brevità, una sola Facoltà come campione: la Facoltà di scienze e la classe di Scienze della Scuola Normale Superiore, istituzione indissolubilmente legata all’Università di Pisa nell’attività culturale e animata dallo stesso fervore nella difesa del livello degli studi.
Lo scorso anno i premi Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei di 5 milioni sono stati vinti dal prof. Stampacchia per la Matematica e dal prof. Radicati della Scuola Normale Superiore per la Fisica; il premio ministeriale dei Lincei per la Biologia di 4 milioni, è stato vinto dal prof. Benazzi, mentre il prof. Gozzini ha vinto il premio Della Riccia, della Società Italiana di Fisica; inoltre giovani ricercatori, come Tongiorgi e Di Giacomo hanno vinto altri premi ambiti e, nello stesso giorno in cui la recente alluvione straziava la sua casa, il prof. Aldo Andreotti riceveva la laurea honoris causa dalla giovane e fervida Università di Nizza. Infine il prof. Vesentini, unico in Italia insieme a pochi altri europei, è stato eletto alla direzione dell’Unione matematica internazionale, direzione costituita da soli otto membri scelti tra tutte le nazioni del mondo.
Desidero anche aggiungere la nostra soddisfazione per il conferimento del Premio Nobel per la Fisica ad Alfred Kastler, dell’École Normale Superieure di Parigi, che lavora in stretta collaborazione col nostro Istituto di fisica e al quale la Facoltà di scienze ha vaticinato il successo internazionale conferendogli ben sei anni or sono la laurea honoris causa.
Numerosi altri riconoscimenti hanno avuto docenti e allievi dell’Università, che per brevità ometto, tutti accomunando nel sentimento di orgoglio e di gratitudine di questo antico Centro di studi, che chiede soltanto di poter lavorare con serietà e con serenità. Ringrazio le Autorità e tutti coloro che hanno voluto intervenire alla nostra cerimonia.
Con questi sentimenti dichiaro aperto l’anno accademico 1966-67, 623° dalla fondazione.
Prima di dare la parola al prof. Bruno Romboli, preside della Facoltà di medicina veterinaria, che parlerà sul tema: «Alimenti di origine animale e salute pubblica», procederò alla consegna ad alcuni maestri della nostra Università, della medaglia d’oro di benemerito della scuola, della cultura e dell’arte, conferita dal Presidente della Repubblica, quale attestazione di riconoscenza della nazione per il prestigio ad essa conferito con i loro studi.
La medaglia d’oro è stata conferita ai professori: Onorato Verona, Antonio Marongiu, Paolo Enrico Arias, Nerlo Nerli, Giovan Battista Paroli, cui esprimo le felicitazioni dell’Università di Pisa per l’ambito riconoscimento.
Inoltre è stato insignito della stessa medaglia d’oro di benemerito della scuola, della cultura e dell’arte, anche il prof. Ezio Tongiorgi, al quale sarà consegnata in altra pubblica cerimonia, per i suoi meriti nel campo delle antichità e delle belle arti.
Alessandro Faedo
Da: Annuario dell’Università degli studi di Pisa per l’anno accademico 1966-1967.