1988 - Premio internazionale Galileo Galilei

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Palazzo della Sapienza, Aula magna nuova, ottobre 1988.

Premio internazionale Galileo Galilei 1988
Premio internazionale Galileo Galilei 1988
Premio internazionale Galileo Galilei 1988
Premio internazionale Galileo Galilei 1988
Premio internazionale Galileo Galilei 1988

Giudizio della Commissione per l’attribuzione del Premio Galileo Galilei dei Rotary Italiani, anno XXVII: Sezione "Storia del Pensiero Italiano".

Verbale della Giuria designata dal Rettore dell'Università di Pisa, Prof. Bruno Guerrini:

Professori

Francesco Barone, Pisa

Eugenio Garin, Firenze

Vittorio Mathieu, Torino

Valerio Verra, Roma

Tristano Bolelli, Pisa, presidente

 

 

L’interesse per la Storia del pensiero è ben noto e del resto attestato anche dalla presenza di studi altamente qualificati come quelli che hanno ottenuto in passato il premio "Galilei". Meno consueto è, invece, che tale interesse vada molto al di là della prospettiva storiografica del pensiero italiano del passato rispetto a temi e problemi di oggi. È questo il merito e il contributo specifico dell’opera di Karl Otto Apel - oggi tra le figure più rappresentative della filosofia tedesca e non solo tedesca - che si è accostato alla storia del pensiero italiano per ragioni non puramente erudite o storiografiche, ricostruendo la linea di sviluppo della "idea" di lingua da Dante a Vico. Si tratta, come sottolinea Apel stesso, di una prospettiva che comporta l’abbandono o, almeno, la fuoriuscita da quadri storiografici lungamente invalsi e che hanno incentrato l’interesse sulle grandi problematiche ontologiche e gnoseologiche, relegando il linguaggio in una posizione settoriale - come del resto è accaduto anche nella filosofia classica tedesca. Ma così non può e non deve più essere dopo l’imponente "svolta linguistica" del nostro secolo che risulta sempre più determinante nel quadro complessivo della discussione filosofica, dal neopositivismo alla filosofia analitica, allo strutturalismo, su su fino all’ontologia e filosofia ermeneutica. Quella che viene messa in questione è la grande tradizione moderna tanto nel suo versante nominalistico, quanto in quello razionalistico e secondo il quale il linguaggio si riduce a un sistema di segni operativi sia pur nella molteplicità di varianti e di motivazioni di questa impostazione. Né d’altra parte, rispetto a questa concezione, si può considerare come alternativa adeguata e convincente la filosofia del linguaggio di carattere mistico-rivelativo che risale a Eckhart e a Böhme e che pure ha fatto sentire la sua presenza negli sviluppi della filosofia del linguaggio tra Sette ed Ottocento specialmente in Germania. L’unica ed autentica mediazione è invece rappresentata dalla tradizione umanistica del pensiero italiano che ha saputo raccogliere e sviluppare il nucleo centrale e vitale della filosofia del linguaggio classica o, se si preferisce, dell’accentuazione ciceroniana del momento dell’invenzione rispetto a quello del giudizio, sciogliendolo però dall’universalismo del latino a cui per secoli è apparso inscindibilmente collegato. Di qui la rilevanza dell’opera di Dante nel De vulgari eloquentia come scoperta ed affermazione della lingua nazionale o lingua materna; ma una scoperta che, a differenza di quanto è avvenuto nella grecità, non è più sincronica al formarsi del sapere filosofico, alla scoperta del logos, bensì si realizza in tensione rispetto a una cultura derivata e consolidatasi nell’orizzonte delle lingue classiche. Nella complessa traiettoria storica e teorica dell’idea di lingua che da Dante, attraverso umanesimo, rinascimento e barocco, giunge a Vico, spetta un posto centrale e cruciale proprio all’opera che, per un lato mette in luce retrospettivamente le potenzialità innovatrici di tale traiettoria e, per l’altro, come Apel sottolinea ripetutamente, presenta motivi di attualità rispetto al nostro tempo. Più esattamente, la posizione di Vico rappresenta la consapevolezza e la valorizzazione di momenti insopprimibili, fondamentali, ed in questo senso "trascendentali" della originaria inventività della lingua che per troppo tempo sono stati soffocati o emarginati da una concezione puramente "operativa" del linguaggio, le cui propaggini del resto non mancano di operare anche nella filosofia del Novecento. L’importante è comunque che Vico non deve essere appiattito o risolto in una generica rivalutazione di elementi antiilluministici o preromantici; al contrario, si tratta di cogliere la peculiarità (ed attualità) della sua concezione della lingua distinguendola nettamente dalle concezioni lirico-idilliache della lingua originaria come da qualsiasi riduzione del concetto umanistico di lingua al piano puramente estetico-pedagogico.

La peculiarità di Vico è di aver dischiuso, con la scoperta dell’universale fantastico, quell’orizzonte di comprensione dell’originario mondo mitico del logos arcaico che è intrinsecamente comunicativo e socializzante poiché si incardina sulla simpatia dell’uomo con l’ambiente e realizza così un tessuto ermeneutico anteriore alla distanza segnata e richiesta dai processi intellettivi e matematizzanti; un tessuto costituito non soltanto da suoni, ma da gesti, da comportamenti rituali e formalizzanti, come si può constatare in molti casi del rituale giuridico religioso. Volendo cercare affinità storiche non è a Herder che si deve guardare, quanto piuttosto a Hölderlin con la sua sensibilità per il carattere mitopoietico della lingua, così come va sottolineato che Vico nella sua concezione della originarietà della lingua attinge a dimensioni anteriori e diverse da quelle rappresentate dalla tradizione biblica; in questo senso, anzi, per la sua stessa concezione delle età della lingua e dell’uomo è essenziale la consapevolezza della distinzione tra storia salvifica e storia profana, pur nel quadro di una visione provvidenzialistica complessiva. Vico dunque non si limita a riprendere, ma radicalizza e porta ad una svolta la tradizione umanistica del primato della topica, la concezione della metafora come chiave della comprensione poetica originaria del mondo, e questo non tanto negli scritti precedenti quanto nella Scienza Nuova dove si ha il superamento della concezione umanistica, in quanto la sapienza poetica originaria viene del tutto sciolta da qualsiasi connessione con le concezioni tradizionali di un semplice adombramento o ornamento di un sapere presupposto e dalla commistione con elementi mistici platonici o cristiani.

Per questo si può considerare "trascendentale" ed attuale la concezione vichiana che condivide con il soggettivismo moderno l’affrancamento dallo stampo del latino medievale, ma non si chiude nel soggettivismo delle correnti predominanti nel pensiero moderno, bensì risale alle dimensioni intersoggettive della comunicazione linguistica e della sua istituzionalizzazione letteraria. Un trascendentale pertanto che non si contrappone affatto alla storicità interna del pensiero e del linguaggio, ma, al contrario, la rivendica ed evidenzia con la dottrina della circolarità tra filosofia e filologia e con la concreta lettura della tipologia ideale della storia dello spirito attraverso l’interpretazione della storia del linguaggio nella sua funzione non settoriale, ma fondativa rispetto al profilarsi delle diverse fasi e figure non solo della comunicazione, ma dell’intero costume e pensiero dell’uomo.

 

Da: http://www3.humnet.unipi.it/galileo/fondazione/Vincitori%20Premio%20Galilei/Karl_Otto_Apel.htm (consultata in rete il 04.03.2011)

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