1991 - Inaugurazione a.a. 1991-1992

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Palazzo della Sapienza, Aula magna nuova.

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Relazione del rettore prof. Gian Franco Elia

 

Inaugurazione dell’anno accademico 1991-92, 648° dalla fondazione

 

L’8 gennaio 1642, alle quattro del mattino, moriva ad Arcetri, ove era stato relegato dall’intolleranza dei tempi, Galileo Galilei, nato a Pisa nel 1564, scolaro di quest’ateneo nel 1581 e poi lettore di matematiche dal 1589 al 1592, periodo in cui compare il ben noto scritto in versi (lo dico un po’ arrossendo in questa circostanza) intitolato “contro il portar la toga”.

Il rapporto tra Galileo e questa università - che qui vogliamo richiamare riprenderà molti anni dopo, nel 1610, quando egli sarà nominato Primario Matematico dello Studio pisano “senza obbligo (anche lui) d’abitare in Pisa, né di leggervi...”.

Aprire l’inaugurazione dell’anno accademico ricordando i 350 anni dalla sua morte è un tributo doveroso all’allievo e al maestro più illustre dell’ateneo, ma vuole essere anche un implicito richiamo al suo metodo, oggi che la cultura scientifica diviene parte integrante dell’attività dei nostri tempi, caricandosi di nuove responsabilità con lo straordinario dilatarsi degli orizzonti del sapere.

Su questa linea, la relazione odierna, piuttosto che soffermarsi sul cammino percorso nel breve tratto di un anno, indicherà le vie da seguire. Sarà quindi prevalentemente propositiva, di programma: e non per evitar di parlare della situazione attuale oggettivamente difficile, ma per sottoporre alla valutazione della società locale, a cui l’Ateneo si apre in questa circostanza, gli indirizzi di politica universitaria che proponiamo di portare avanti sulla base di due elementi: i recenti provvedimenti legislativi (concernenti l’istituzione del MURST, gli ordinamenti didattici, il piano triennale, il diritto allo studio, l’autonomia) e il libero esercizio delle funzioni autonome di scelta e di decisione di cui l’università è portatrice.

La legge 168 del 1989 ha segnato una svolta decisiva per le università italiane consentendo loro di varare nuovi statuti e regolamenti. Il Senato Accademico Integrato di questa università, preposto formalmente a questi compiti, ha cominciato i suoi lavori nel giugno scorso, rivelando, nella vivacità del dibattito, grande e responsabile attenzione ai temi dell’autonomia universitaria e dell’autogoverno. Va anzi registrata con soddisfazione l’attiva partecipazione alle sedute dei rappresentanti degli studenti, che in altri tempi erano sfuggiti al confronto con le altre componenti universitarie. D’altronde il disegno di legge sull’autonomia non è ancora approvato e il Senato Integrato manca per ora del supporto di una specifica normativa che disciplini l’autonomia regolamentare statutaria, didattica, di ricerca, organizzativa e finanziaria. Ed è per questo investito di una più grande responsabilità deliberativa.

L’attivazione dei diplomi di primo livello, previsti dalla legge 341 del 1990, può consentire l’accelerazione del processo di modernizzazione dell’università che tutti auspichiamo, fornendo le professionalità intermedie indispensabili all’attuale progresso tecnologico e riducendo gli elevati abbandoni studenteschi, che anche da noi si aggirano sul 70-75% con punte particolarmente elevate per gli iscritti al primo ed al secondo anno.

I corsi di diploma universitario possono rivelarsi adatti a promuovere, come suggerito dal Ministero, iniziative consortili con enti locali e con privati, stabilendo fecondi rapporti con il mondo della produzione e del lavoro e favorendo la politica del decentramento, riconosciuta essenziale, oltre che dei nostri organi di governo accademico, dalle disposizioni vigenti. L’obiettivo è strategicamente importante e non può essere fallito: impone funzioni nuove per l’università italiana, non facili da esplicitare, anche per diffidenze che sembrano riscontrarsi nell’ambito accademico.

Ma l’attivazione dei diplomi, con cui l’università italiana si misura per la prima volta, è resa indispensabile dalle necessità di adeguamento alle università europee. E può forse avvenire in maniera graduale, stabilendo magari le opportune intese con gli enti locali del bacino di utenza, per garantirsi gli indispensabili supporti finanziari, logistici, di attrezzature, di servizi. I corsi di diploma dovranno pertanto corrispondere alle esigenze del locale mercato del lavoro, e svolgersi preferibilmente nelle aree che possano consentire l’assorbimento occupazionale dei diplomati.

Il piano triennale 1991-1993 ha assegnato a questa università otto corsi di diploma di primo livello: due per la facoltà di medicina e chirurgia, due per ingegneria, due per economia e commercio, uno per lingue, uno per agraria. Si tratta di una decisione conseguente alle richieste delle facoltà; ma non è escluso che in questa direzione vengano avanzate, da enti pubblici e privati, sollecitazioni su cui l’università sarà chiamata ad esprimersi.

Lo stesso piano triennale ha approvato l’istituzione di un corso di laurea quello in conservazione dei beni culturali - per il quale la facoltà di Lettere e Filosofia si è a lungo battuta, ritenendolo essenziale per una più completa definizione dei suoi studi e per le esigenze poste dalla realtà attuale. Non sarà facile, come è ovvio, organizzare un corso teoricamente a “costo zero”, ma confidiamo di farlo partire con il prossimo anno accademico.

Sempre sulla linea di una università rispondente alle domande della società contemporanea, la legge 341 sugli ordinamenti didattici prevede un altro istituto anch’esso estraneo alla nostra cultura universitaria, finalizzato ad orientare e ad assistere gli studenti durante il corso dei loro studi, ed a renderli partecipi dei processi formativi. Si tratta del tutorato che, tra l’altro, elevando le soglie dell’informazione, può contribuire a ridurre l’elevatissima mortalità studentesca, il divario enorme tra iscritti e laureati. Una volta individuato chi preporre al tutorato e come svolgerlo (il Senato Accademico sta preparando un apposito regolamento), potrà conseguentemente essere promossa la diffusione dell’informazione individuale e di gruppo, la costituzione di banche dati, l’impiego dei mezzi di comunicazione di massa, per consentire un efficace orientamento universitario ed una partecipazione consapevole all’ attività didattica.

Altro istituto innovativo, già adottato nei paesi comunitari, è quello, (previsto dalla medesima legge 341) della cosiddetta università a distanza.

Per la verità, il nostro ateneo ha guardato a lungo con diffidenza ad esperimenti di istruzione universitaria a distanza, ritenendo che il processo didattico avrebbe potuto svolgersi positivamente solo attraverso rapporti di tipo interattivo. Tuttavia, nell’ultimo decennio, sono stati compiuti passi da gigante in questa direzione, passando dal modello tradizionalmente passivo dell’istruzione a distanza, a quello in grado di offrire allo studente forme individualizzate e spesso interattive di insegnamento, con consultazioni, Correzioni di elaborati, comunicazioni incrociate con i docenti.

Questo modello, reso possibile dallo sviluppo delle tecnologie della comunicazione applicata ai processi di insegnamento e apprendimento, consente oggi all’università di stabilire relazioni proficue studenti abitanti in località anche lontane, altrimenti esposti ad una preparazione precaria, prevalentemente libresca. Può pertanto adeguare molti curricula agli sviluppi tecnologici di aree disciplinari, consolidare la formazione di nuove professionalità, potenziare l’insegnamento anche a livello di diploma universitario. Inoltre l’università a distanza può consentire accordi e intese, anche in forma consortile, con enti pubblici e privati, che ormai si pongono come interlocutori indispensabili per l’attivazione sul territorio di strutture universitarie.

Nella stessa prospettiva di intensificare la comunicazione a distanza con gli studenti, abbiamo valutato positivamente, assieme al Comune, alla Provincia e alla Regione, la possibilità di aderire, con singole convenzioni, all’iniziativa di una radio universitaria, preposta specificatamente a diffondere programmi concernenti le attività dell’ateneo (lezioni, conversazioni, dibattiti, informazioni) su tutta la fascia tirrenica. Questa proposta, avanzata dal settore privato, stenta a decollare, ma è sembrato importante che ad essa fosse espressa, in linea di massima, l’adesione nostra e degli enti locali.

In questa stagione universitaria un’altra legge fortemente innovativa è quella varata nel dicembre scorso, la n. 390 del 1991, relativa al diritto agli studi universitari, attraverso cui si intende migliorare la condizione studentesca, superando concezioni tendenzialmente assistenzialistiche per predisporre, con la Regione, adeguati strumenti di programmazione atti ad assicurare la migliore qualità degli studi e dei servizi.

Alla domanda sociale degli studenti, già emersa nel movimento del 1990, viene dato risposta con interventi dello Stato, delle regioni, delle università, con borse di studio, con procedure di orientamento al lavoro, con assistenza sanitaria, alloggi, corsi intensivi, esonero tasse, .attività culturali e sportive, fondo di incentivazione, prestiti d’onore (istituto, anche questo, già operante in altri paesi) e così via. La legge ha una copertura finanziaria del tutto insufficiente. E noi chiediamo alla Regione di impegnarsi soprattutto in una questione bruciante come quella delle residenze, perché per questa università, ove circa l’80% degli iscritti (compresi i pendolari) è rappresentato da fuori sede, gli alloggi per studenti sono carenti, qualitativamente e quantitativamente, e sottoposti spesso a un regime vessatorio degli affitti, inoltre mancano servizi complementari che possano favorire l’integrazione studentesca nella città.

E’ anzi da sottolineare a questo riguardo l’encomiabile azione svolta dal CUS pisano, che insieme a prestigiosi successi sportivi, è riuscito a fare del complesso di via del Brennero, un centro di aggregazione sociale tra studenti delle più diverse parti d’Italia.

Come abbiamo detto, il taglio impresso a questa relazione impone di indicare anche alcune strade su cui questa università può autonomamente avviarsi.

In particolare sembrano maturi i tempi e le condizioni per avanzare la proposta istitutiva di una nuova facoltà, l’unica, tra le maggiori, che manca alla nostra università: parliamo della facoltà di architettura.

Il problema è oggetto di attenta riflessione e discussione da molti mesi. Un gruppo di colleghi della facoltà di Ingegneria ha preparato un rapporto estremamente accurato e approfondito, prevedendo e analizzando le eventuali linee di organizzazione e di sviluppo della nuova facoltà. Del progetto hanno poi cominciato ad occuparsi il Consiglio della facoltà di Ingegneria e il Senato Accademico. Questa organo ha incaricato una apposita commissione di valutare i molteplici aspetti della questione e di predisporre una relazione articolata.

L’obiettivo è una facoltà che possa distinguersi per il suo elevato contenuto culturale e formativo: lo richiede la tradizione della nostra università, il prestigio delle sue scuole umanistiche e scientifiche, e anche la struttura di una città che, con la sua storia e i suoi monumenti, pare la sede adatta per molti insegnamenti architettonici .

Del resto, le facoltà di architettura sono ovunque in grande sviluppo. Allo stato attuale ve ne sono in Italia dodici (le ultime due, istituite con il piano quadriennale 1986-1990, sono quelle di Bari e di Ferrara. Le iscrizioni sono sempre elevate: oltre duemila gli studenti del nostro tradizionale bacino di utenza, sono iscritti alla facoltà fiorentina. Noi intendiamo comunque puntare sulla qualità e pensiamo ad una facoltà di architettura che, con severità di studi e ricerche, collegati a corsi di laurea esistenti, si distingua per una propria originalità e per propri indirizzi di specializzazione.

Certo, il problema non è di rapida soluzione; è assai complesso anche per i finanziamenti che comporta (anche se per le facoltà di nuova istituzione sono previste provvidenze particolari). Nella migliore delle ipotesi, la proposta potrà essere inoltrata con il prossimo piano triennale 1993-96, ma è importante cominciare fin da ora a discuterne, per considerare tutti gli aspetti, le difficoltà di realizzazione, le implicazioni che ne derivano.

L’università può svolgere un ruolo decisivo per il progresso della società anche indirizzando messaggi culturali e progetti innovativi agli organi politico amministrativi, perché valutino l’opportunità di interventi operativi in ordine ad essi. In questa ottica abbiamo avanzato, nel corso di un convegno internazionale l’idea di una città della scienza, della tecnica, della cultura, e di un parco scientifico, da costruire nell’area d’influenza dell’università.

Oggi il numero dei parchi scientifici e delle tecnopoli, alla cui organizzazione concorrono enti pubblici e privati, va aumentando nei paesi ad alto sviluppo industriale. L’Italia non è certo all’avanguardia, ma i nostri Ministri dell’università, del Mezzogiorno e del Bilancio hanno stanziato 1.100 miliardi per la realizzazione di parchi scientifici nel sud. Non può dunque essere escluso a priori che ulteriori finanziamenti possano essere destinati a iniziative come la nostra, soprattutto se le forze locali sapranno esercitare unitariamente le opportune pressioni.

In attesa di tempi migliori, un gruppo di esperti dell’università continua a lavorare intorno all’ipotesi teorica di tecnopoli.

Questa nostra proposta postula un modo di essere diverso della città, risponde all’istanza di promuovere sempre più elevati livelli di integrazione tra la conoscenza scientifica e tecnologica, tra i sistemi di vita e le economie locali, tra la dinamica dei mercati e lo sviluppo delle comunicazioni (abbiamo in mente i collegamenti con l’Europa meridionale, per quanto concerne la nostra area). Un’idea, questa della tecnopoli, che ha nell’immediato un valore di orientamento, ma stimola a ripensare la grande tradizione dell’ateneo pisano nei termini di un futuro possibile, in cui le potenzialità della mente dell’uomo garantiscano nuovi equilibri e l’innovazione progettuale rispetti i processi di natura.

Non fosse che per verificare le condizioni di opportunità e realizzazione della proposta, la parola è ora ai politici. La Regione, il Comune, la Provincia hanno mostrato interesse per questa iniziativa. Forse bisogna concordare un’azione comune nei confronti dello Stato, senza il cui apporto non è pensabile possa sorgere una tecnopoli.

E’ da augurarsi che il dibattito culturale in corso possa avere conseguenze operative, politiche ed amministrative. La portata del progetto è tale da sollecitare l’interesse di attori pubblici e privati, chiamati ad affrontare un esperimento esaltante di grande importanza economica; sociale, culturale.

Questi nuovi percorsi che gli organi dell’università si accingono a valutare, richiedono tra l’altro l’attiva collaborazione dei docenti e del personale tecnico amministrativo. Soltanto così le strutture universitarie potranno inserirsi nella via della modernizzazione, ottenere risultati di alto livello, rendere l’apparato flessibile e meno esposto agli appesantimenti burocratici.

Partendo dalla convinzione che occorra una maggiore produttività dello staff accademico e di quello tecnico-amministrativo in un contesto funzionalmente integrato, l’amministrazione sta per presentare un piano per una riorganizzazione del personale tecnico-amministrativo della sede centrale. Il piano, che prevede un apposito organigramma, sarà ovviamente discusso in seno agli organi accademici e nelle riunioni della negoziazione decentrata, ove, per la verità, il confronto tra le diverse componenti è stato sempre improntato a criteri di critica costruttiva e responsabile.

Più in generale, per quanto concerne la globalità delle nostre strutture, una definizione razionale e funzionale dell’assetto organizzativo si rende indispensabile per accelerare la soluzione di problemi politici e amministrativi, evitando sovrapposizioni, sprechi di risorse, ritardi operativi. La costruzione di una università nuova e largamente fondata sugli apporti del personale tecnico amministrativo, che deve essere posto in grado di assolvere, con un’adeguata preparazione, ai nuovi e stimolanti compiti di collaborazione nelle diverse fasi e modalità della ricerca e di inserimento nelle complesse questioni amministrative. Si rivela indispensabile l’aggiornamento e la specializzazione del personale, per migliorare la funzionalità dei laboratori, delle biblioteche, dei servizi diversi.

Nella nostra università il personale tecnico e amministrativo ammonta a 1680 unità. E si colloca mediamente a livelli qualitativi apprezzabili, ma è quantitativamente inadeguato ad assolvere i molteplici, crescenti, compiti che gli vengono attribuiti.

In queste condizioni è indispensabile anche il completamento delle procedure di gestione automatica delle carriere e delle retribuzioni del personale, nonché l’introduzione dell’office automation negli uffici dell’amministrazione per una più veloce circolazione dell’informazione.

Va anche segnalata la cooperazione con il CNUCE-CNR per la progettata realizzazione del “Polo Pisano di Calcolo Scientifico” (con finanziamenti del CNR e del MURST) che oltre a costituire un avanzatissimo strumento per la didattica e la ricerca, si pone come nodo di collegamento primario delle comunicazioni interne dell’ateneo e di quelle con i circuiti nazionali ed internazionali. Nella medesima prospettiva può essere realizzata in questo anno accademico l’automazione di biblioteche, prima tappa per il conseguimento di un sistema bibliotecario di ateneo.

L’anno che sta aprendosi rende indispensabile il potenziamento della politica internazionale dell’università. Alla vigilia dell’integrazione europea, si impone per noi una sempre più stretta collaborazione con le università dei paesi comunitari.

Occorre dunque produrre uno sforzo diretto a potenziare i rapporti internazionali, passando attraverso progetti come Erasmus e Lingua, che hanno raddoppiato, rispetto all’anno scorso, il numero degli studenti coinvolti. L’ateneo partecipa inoltre al progetto Comett, al relativo Consorzio UEPT tra le università toscane, e al progetto Tempus, per la cooperazione delle università e imprese comunitarie con quelle dell’Europa centrale e meridionale.

Una università come la nostra, che ha sottoscritto accordi con numerose istituzioni internazionali, va anche svolgendo una efficace azione a favore dei paesi in via di sviluppo, con la partecipazione ad un apposito consorzio, a favore della pace intervenendo direttamente nel progetto Peace con le università palestinesi. Siamo convinti che la collaborazione internazionale universitaria, la mobilità dei docenti e degli studenti possano contribuire ad arricchire l’amicizia e le intese tra i popoli, soprattutto oggi che tornano a manifestarsi pericolose e talora sanguinose tensioni etniche.

Avventurarsi sulla strada di proposte innovative può sembrare contraddittorio in una situazione di bilancio oggettivamente difficile, ma confidiamo che una università in così palese crescita non possa essere ulteriormente lasciata in una posizione di stallo da parte dello Stato. E siamo altresì convinti che non potranno esser lasciate cadere anche nell’interesse dell’economia locale le proposte di collaborazione che stiamo rivolgendo ad enti pubblici e privati.

Non vogliamo drammatizzare la situazione, ma non rinunciamo a denunciare i gravi limiti finanziari in cui ci troviamo ad operare, sui quali l’intero corpo accademico sarà presto chiamato a discutere, valutando anche la possibilità di rivedere la politica delle entrate dell’università, soprattutto per assicurare il miglioramento qualitativo degli standard didattici, dei servizi di orientamento, di tutorato del diritto allo studio.

Il problema, come è noto, è di carattere generale. Di fronte alle altre nazioni comunitarie, la posizione delle università italiane è senza dubbio debole: contro lo 0,57%, del prodotto interno lordo ad esse assegnato, sta una media europea dello 0,80% Per raggiungere questa cifra, occorrerebbero, in sede nazionale, dai 1.500 ai 2.000 miliardi. A noi, più modestamente, potrebbero bastare dai 20 ai 30 miliardi in più. Invece riceviamo, da sei anni a questa parte gli stessi trasferimenti di fondi da parte dello Stato.

Pertanto gli squilibri tra necessità e risorse aumentano; e non solo per l’inflazione, ma perché l’ateneo cresce impetuosamente: con un incremento annuo di matricole che si avvicina alle mille unità. Nel 1990-91 gli studenti assommano a 38.107 (54% di maschi e 46%) di studentesse), i professori di prima fascia sono 501, di seconda fascia 615, gli assistenti 71, i ricercatori 548. La richiesta dei servizi, in particolare didattici, è in continuo aumento, anche per le esigenze di attuazione delle recenti disposizioni normative.

Ci avviciniamo ormai - e quest’anno la supereremo - alla fatidica cifra di 40 mila studenti, che segna la soglia delle mega università conferendo loro provvidenze particolari. Per ora abbiamo purtroppo tutte le difficoltà delle grandi università, senza i vantaggi.

E’ quindi indispensabile cercare anche in altri ambiti le risorse finanziarie. Un diverso rapporto con la sfera privata, nei limiti consentiti dalla legge, può facilitare il cammino di un’università che, contando anche su risorse derivate, può conseguire più agevolmente i propri obiettivi istituzionali ed impegnarsi in servizi diretti alla crescita culturale e sociale del Paese. In vista di ciò non vanno esclusi: l’apporto universitario (di ricerca) a iniziative private; il finanziamento privato ad iniziative universitarie; l’intervento pubblico-privato a progetti di comune interesse. Ma in queste operazioni - che sul versante universitario possono arricchire le esperienze di specializzazione e, su quello imprenditoriale, la produttività - l’università deve avere una posizione preminente, coerentemente con la difesa della propria autonomia e nel rispetto di valori legati all’uomo, all’ambiente, alla salute. Nel riconfermare l’insostituibile funzione della ricerca di base, espressione della libertà e dell’autonomia universitaria, non si può peraltro disconoscere l’apporto che può pervenire, allo sviluppo dell’economia e della società, dalla ricerca degli enti pubblici e da quella del sistema produttivo.

Con un’adeguata e più incisiva azione, l’università può allora potenziare la già ampia maglia dei contratti pubblici e privati che da sempre sta tessendo: nel 1991 l’università ha siglato 160 contratti esterni, per una cifra che si aggira intorno ai dieci miliardi (di cui il 30% provenienti da privati). Sono stati firmati accordi per iniziative culturali, ricreative, ecologiche. E’ stata realizzata la partecipazione dell’università ad organismi complessi di grande rilievo, quali il Consorzio Qualità, il Consorzio Pisa Ricerche, il Master in tecnologia della qualità, sono state sottoscritte numerose convenzioni per obiettivi di rilievo scientifico e tecnologico

E poi, in questa nuova visione dell’università, abbiamo dato anche prova di spirito imprenditoriale: il consiglio di amministrazione ha chiesto infatti al Ministero l’autorizzazione a ricorrere a fonti alternative di finanziamento, per evitare la troppo onerosa strada dei mutui contratti a pareggio del bilancio. Abbiamo quindi varato una procedura di autofinanziamento, decidendo di utilizzare il fondo delle eccedenze di cassa, onde garantire le spese in conto capitale, gli interventi sul patrimonio mobiliare ed immobiliare gli interventi non consentiti dagli specifici stanziamenti per l’edilizia universitaria. Si tratta ovviamente di un provvedimento tampone ma ci auguriamo chela sua attuazione consenta di disporre del tempo necessario a svolgere un’esplorazione attenta delle possibili fonti di finanziamento che possono emergere, come ci auguriamo fermamente, da ulteriori trasferimenti di fondi da parte delle Stato ma anche da altre entrate, comprese quelle provenienti da enti pubblici e privati, nazionali, comunitari, internazionali.

Per adesso la questione dell’edilizia universitaria è quella che presenta le maggiori difficoltà di soluzione, per le crescenti domande delle strutture e per l’elevata spesa imposta dalle opere di manutenzione ordinaria, straordinaria e di piccole ristrutturazioni (nel 1991 sono stati effettuati 800 interventi per 3 miliardi e 200 milioni di lire).

Abbiamo comunque svolto una discreta mole di lavori: sono state realizzate due opere per 4 mila metri quadrati e circa 1.700 posti-banco (polo didattico di ingegneria e polo didattico di economia, agraria, veterinaria); sono in fase di realizzazione cinque opere: il primo lotto della ex Marzotto, la clinica oculistica in Cisanello, il primo lotto dell’area Scheibler, il primo lotto di medicina veterinaria, il dipartimento di biomedicina (il tutto per 130 mila metri quadrati e 5.500 posti-banco); sono in progettazione esecutiva due opere (polo didattico in piazza dei Cavalieri, secondo lotto dell’area Scheibler) per 6 mila metri quadrati e 600 posti-banco; infine sono in progettazione di massima tre opere (secondo lotto della ex Marzotto, secondo lotto di medicina veterinaria, ex Arsenale Mediceo) per 19 mila metri quadrati e 800 posti-banco. Tutti questi interventi consentiranno di disporre di strutture attualmente occupate da altri enti (CNR, Intendenza di Finanza, Ministero della Difesa): si tratta degli edifici di via S. Maria e piazza Torricelli, degli edifici della Facoltà di medicina veterinaria; dell’ex mensa di via Bonanno, del Palazzo dell’Intendenza di Finanza, dell’ex Convento S. Vito, della Caserma Artale. (Questi ultimi tre immobili e l’ex Arsenale Mediceo, secondo un’apposita convenzione sottoscritta dai Ministri delle Finanze e dell’Università, saranno resi disponibili per l’ateneo, (dopo esser stati dismessi dalle attuali amministrazioni).

In questo inizio degli anni Novanta il nostro ateneo si troverà a dover celebrare diversi anniversari: la morte di Leonardo Fibonacci, la morte di Galileo Galilei, l’entrata in funzione della prima pila atomica inventata da Enrico Fermi nel 1942, e soprattutto i 650 anni trascorsi dalla fondazione di questa università.

Intendiamo ricordare questi eventi in una serie di manifestazioni che si svolgeranno nell’anno del 650°. Sono stati presentati tre disegni di legge (uno di iniziativa del Ministro del Tesoro, uno dei Deputati della circoscrizione, uno di iniziativa regionale), che dovrebbero consentire lo svolgimento delle manifestazioni in un quadro celebrativo adeguato all’importanza storica degli eventi, e la messa a punto di opere destinate a rimanere nel tempo.

Abbiamo già preso i contatti con gli enti locali, e siamo sicuri di averli accanto in questa circostanza, perché il 650° è certamente data memorabile per tutta la città.

Concludendo, è mio dovere salutare cordialmente gli studenti di questo ateneo, ringraziare il Senato Accademico e il Consiglio di Amministrazione, il personale docente, tecnico-amministrativo e delle biblioteche. In particolare consentitemi di esprimere la mia gratitudine ai componenti della Giunta d’ateneo, che hanno fornito un apporto concreto alla soluzione di numerosi problemi. Un grazie dunque al Pro Rettore Giorgio Cavallini, a Carlo Cipolloni, ad Anna Maria Galoppini, a Paolo Gianni, a Virginia Messerini, a Ivano Morelli, a Piero Pierotti e a Franco Russo, per l’impegno dimostrato entro un organo che mi auguro potrà essere regolamentato dal nuovo statuto.

Un ringraziamento al Direttore Amministrativo, dr. Giorgio Coluccini, che assolve il suo incarico con grande competenza ed eccezionale sensibilità.

Questa relazione di programma ha inteso anche indicare, insieme ad un ventaglio di proposte, le vie attraverso cui possono essere reperite le relative coperture finanziarie, anche con una politica universitaria collegata agli enti pubblici e privati.

Siamo convinti che anche in queste iniziative l’ateneo pisano potrà trovare ulteriori stimoli nella collaborazione con la Scuola Normale Superiore, con la Scuola Superiore “S. Anna”, con il CNR, con l’INFN, con gli altri enti di ricerca e con l’Azienda Municipale per il Diritto allo Studio. Desidero anzi sottolineare gli ottimi rapporti che abbiamo con queste istituzioni e logicamente con quelle cittadine, prime fra tutte il Comune, la Provincia, la Camera di Commercio.

Pisa è anche la sua università, che è anzi parte integrante della sua storia e, si deve aggiungere, del suo futuro. L’ateneo è momento forte della immagine della città, interna e internazionale. Custodire e rafforzare questa immagine non è una scelta, è un impegno comune dettato dal passato e reso impellente dal presente.

E in nome di questo impegno, dichiaro aperto l’anno accademico 1991-1992, 648° dalla fondazione.

 

Da: Annuario dell’Università degli studi di Pisa per gli anni accademici 1990-1995.

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