Palazzo della Sapienza, Aula magna nuova, 29 novembre 1947.
Relazione del rettore prof. Enrico Avanzi per l’anno accademico 1947-1948
Eccellenze, Signori, Colleghi, Studenti
La benevola designazione dei Colleghi, favorevolmente accolta dal Ministero della Pubblica Istruzione, mi procura l’alto onore di inaugurare, in quest’Aula di recente riparata nelle sue opere murarie e che ha già ospitato il Congresso Nazionale di Pediatria, l’anno accademico 1947-1948, corrispondente al 604° dalla fondazione del nostro Ateneo.
Il mio pensiero si rivolge all’avvenire della Nazione, il Governo della quale è qui rappresentato dal prof. Giuseppe Togni, Ministro dell’Industria e del Commercio. È pure atteso il prof. Antonio Segni, Ministro dell’Agricoltura e Maestro di scienze giuridiche nella Università di Sassari, della quale regge le sorti nella veste di Rettore.
Essi rappresentano le più vitali e tradizionali attività economiche del popolo italiano, legato alla sua terra, la quale, come fu detto, è più figlia che madre degli uomini, e che è chiamata a dare pane, lavoro e benessere alla nostra crescente popolazione, protesa verso lo sviluppo ed il perfezionamento dell’agricoltura, dell’industria e del commercio.
Considero presente il Ministro della Pubblica Istruzione, prof. Guido Gonella, che sarà quanto prima fra noi.
Il mio animo si rivolge altresì a tutte le Autorità e ai Cittadini, siano o no, qui convenuti, per questa austera e serena cerimonia di fede, ed esprime un caldo e riconoscente saluto ai colleghi, e uno spirituale abbraccio ai discepoli.
Un particolare saluto mi è caro rivolgere agli agricoltori, agli industriali, ai commercianti ed alle loro maestranze, i quali tutti profondono non solo capitali, ma tesori di fede e di lavoro per la rinascita di questa Città e di questa Provincia, nel quadro del progresso sociale ed economico del Paese.
Da questo posto m’incombe il dovere di continuare l’opera di Augusto Mancini, che ha retto le sorti dell’Università pisana con elevata mentalità ed esemplare spirito di abnegazione.
Sarebbe logico che la relazione riguardante il decorso anno accademico fosse fatta dal mio predecessore; ma poiché le norme vigenti dispongono in modo diverso, mi accingo a questa esposizione, che sarà molto sintetica, per il fatto che già il prof. Mancini, il giorno 25 del decorso ottobre, ha riassunto, fra la commossa attenzione del Corpo accademico e delle Autorità cittadine, il vasto lavoro compiuto durante il triennio nel quale egli fu a capo di questa Università.
Per la situazione patrimoniale e finanziaria, ricordo, come fatti salienti, la vendita della casa Frassi posta nella città di Parma, e il conseguimento del pieno dominio della casa Baraldi situata a Livorno.
Al bilancio deficitario ha provveduto, fino al 30 giugno decorso, il Ministero della Pubblica Istruzione, versando la somma dovutaci per gli aumenti degli stipendi, la quale corrisponde a L. 45.870.000.
Fu così possibile acquistare il palazzo «alla Giornata» senza ricorrere a prestiti e senza rendere più irrisorie le dotazioni degli istituti scientifici.
Circa le riparazioni dei danni di guerra, furono eseguiti restauri, a cura del Ministero dei Lavori Pubblici, per l’importo di 53 milioni di lire; altri 20.500.000 di lire sono stati assegnati dal Ministero della Pubblica Istruzione.
In seguito all’iniziativa della Facoltà d’Ingegneria, furono virtualmente portate a termine le pratiche per la istituzione di una sottosezione di chimica, inoltre furono stanziati dall’Amministrazione provinciale di Pisa e dal Comune di Pisa i mezzi per la istituzione di due nuove Cattedre.
Particolare importanza hanno assunto le pratiche per la ricostituzione del Consorzio universitario, che, scaduto nel 1943, sorgerà su basi più larghe, dimostrando la comprensione degli Enti che vi hanno aderito col sottoscrivere complessivamente un contributo che si spera possa raggiungere la somma di 3 milioni di lire annue.
La popolazione studentesca ha toccato un numero mai raggiunto di 4861 studenti nelle 8 Facoltà dello Studio pisano. Si devono aggiungere altri 1647 allievi delle Sezioni staccate, e precisamente: 857 per l’Istituto superiore di Lingue e letterature straniere di Venezia, 653 per la Facoltà di Economia e Commercio di Firenze e 137 per quella di Magistero pure di Firenze.
Cessato il funzionamento delle Sezioni staccate, si è prospettata l’opportunità di istituire una Facoltà, di Magistero con la sola sezione di lingue moderne; e l’attuazione di questo progetto si presenta molto probabile, e, vogliamo sperare, immediata, grazie al concorso finanziario del Comune e della Provincia di Pisa, mediante il quale è possibile l’istituzione di due Cattedre di ruolo.
Non sono mancate le premure per il riesame di un progetto riflettente l’istituzione di una Facoltà di Economia e commercio; ed al riguardo sono lieto di comunicare che il Ministro Togni, a seguito del suo personale interessamento, ha recato ora la notizia della possibilità di dare inizio ai Corsi col corrente anno accademico.
Nel decorso anno accademico conseguirono la Laurea dottorale 489 studenti, dei quali ricordo quelli che ottennero i pieni voti e la lode.
Essi sono: per la Facoltà di Giurisprudenza: Cella Paolo, Cintolose Cesare, Cristiani Antonio, Franchi Giuseppe, Ricci Raimondo Saudino Leonardo, Tonelli Enrico, Verrucoli Piero; per la Facoltà di Medicina e Chirurgia: Carboncini Piero, Ferri Ferdinando, Mian Enzo, Piccioli Francesco, Tusini Giorgio, Viglialli Mario; per la Facoltà di Lettere e filosofia: Binazzi Ughetta, Campanile Francesco, Corsetti Angiolo, Corsi Mario, Di Spino Carlo. Federici Renzo, Jannaccone Giulia, Mani Mara, Mei Francesco, Picone Luigi, Sainati Vittorio; per la Facoltà di Scienze fisiche, matematiche, naturali e biologiche: Ardito Adelaide, Andreotti Aldo, Avanzi Maria Grazia, Bianucci Leonetto, Brazzoduro Luigi, Castagnoli Carlo, Cavigli Mario, Cordati Luigia, Del Magro Giovanna, Magenes Enrico, Palla Milla, Papi Floriano, Rumi Bruno, Siracusa Franca; per la Facoltà di Farmacia: Arcangeli Lorenza, Mignani Adelaide; per la Facoltà d’Ingegneria: Batoni Giovanni, Giannini Matteo, Lapucci Mario; per la Facoltà di Agraria: Banti Maria Luisa, Bellavite Enrico, Panattoni Andrea; per la Facoltà di Veterinaria: Meli Alberto.
Ma dopo aver segnalato, a titolo di onore, questi giovani che hanno concluso brillantemente la loro carriera scolastica, devo ricordare con animo rattristato i nomi di Orlando Grifoni, Elio D’Anteo e dei fratelli Giorgio e Giuseppe Schiavo, caduti per la liberazione, troncando così la loro promettente giovinezza con la fede rivolta verso un migliore avvenire della Patria. Alla memoria di questi giovani viene conferita la Laurea «ad honorem» come già fu fatto per gli altri 49 studenti di questa Università caduti nel periodo 1940-45.
I diplomi saranno consegnati alle famiglie il 29 maggio 1948, in corrispondenza del centenario della battaglia di Curtatone e Montanara, per il quale si stanno organizzando manifestazioni di carattere nazionale, che dovranno essere degne dello storico sacrificio che forma un titolo di gloria imperitura del nostro secolare Ateneo.
Accanto al sacrificio dei discepoli, ricordiamo la perdita dei Maestri. Giacomo Albanese, ordinario di geometria analitica, il quale, venuto dalla Sicilia ove era nato l’11 luglio del 1890, aveva formato qui, nella gloriosa scuola matematica pisana, la sua personalità e qui ne continuava le nobili tradizioni. In seguito all’invito dell’Università di San Paolo del Brasile, era partito, missionario di questo centro di studi, pensando di sviluppare i vincoli di scambi intellettuali con la nazione amica: invece la morte lo colse l’8 giugno del 1947, lontano dai suoi colleghi e dai suoi allievi, che serbano di Lui cara memoria.
E ricordo Santi Romano, scomparso da pochi giorni a Roma, che tenne con onore la cattedra di Diritto costituzionale presso questa Università, ove ha lasciato una vasta impronta della sua operosità.
Perdite dolorose sono state poi quelle dei liberi docenti Odoacre Torri, Giuseppe Malagoli, Ferruccio Pezzini, Romano Squarcetta e Martino Arcolado.
Dopo avere rievocato la memoria di questi scomparsi, accennerò al passaggio del Prof. Giuseppe Stefanelli, ordinario di meccanica agraria, all’Università di Bologna, del prof. Giuseppe Caraci, ordinario di Geografia, all’Università di Roma e al recentissimo trasferimento del prof. Giovanni Quaglia, ordinario di Costruzioni stradali e ferroviarie all’Università di Genova. A questi colleghi un vivo saluto augurale.
Ma il saluto augurale più fervido va al nuovo collega Marcello Comel, il quale, già ordinario di Clinica dermosifilopatica alla Università di Modena, dal 1° dicembre 1946 continua l’opera di Cosimo Lombardo; a Giovanni Dantoni, titolare di Geometria analitica, a Giuseppe Morandini, titolare di Geografia, a Folco Domenici, titolare di Medicina legale, ed a Lorenzo Poggi, titolare di Fisica tecnica, nominati in seguito a concorso.
È un primo promettente afflusso di giovani forze, che contribuiranno al lustro della nostra Università.
Con l’anno accademico 1947-48 ha applicazione la nuova legge sui limiti di età, che colpisce molti dei nostri Maestri: alludo ai professori Ferdinando Belloni Filippi, Annibale Evaristo Breccia, Agostino Diana, Pietro Ermenegildo Daniele, Francesco Galdi, Gino Gallo, Augusto Mancini, Matteo Marangoni, Luigi Puccianti, Alfredo Quartaroli e Giovanni Vitali.
La legge, ponendoli fuori ruolo, ma ammettendo anche la possibilità di conservarli fino a 75 anni, alla loro cattedra ed alla direzione del loro istituto, mantiene ad essi tutte le prerogative accademiche e consente quindi a questo Ateneo che essi possano continuare ad illustrarlo.
A tutti ed a ciascuno di essi va il pensiero di ammirazione e di affetto dei colleghi e degli allievi, i quali esprimono la speranza che la legge, in una successiva modificazione, non ponga limiti di età a chi, dopo aver lasciato la cattedra ai giovani, continua fino alla fine dei suoi giorni ad essere maestro per la scuola e per la vita.
La nostra Università nel cominciare il suo 604° anno di vita deve necessariamente guardare all’avvenire, con la ferma volontà che le tradizioni che l’hanno resa celebre nel passato, le consentano di trovare la possibilità di essere pari alle esigenze del futuro.
Questo è il nostro preciso compito, che non può non trovare il generale consenso, con particolare riguardo per quanti sono qui convenuti e per quanti sono usciti dalle severe aule del nostro Ateneo.
Abbiamo superato, con Pisa e per Pisa, delle dure prove. Chiediamo che siano; tenute presenti nel quadro dei valori morali, su cui deve far leva la Nazione che risorge.
Quando ancora il doloroso conflitto richiedeva sangue e produceva rovine nelle regioni settentrionali d’Italia, le nostre aule universitarie ricominciarono a popolarsi; e sebbene il volto dei giovani rivelasse disorientamento e sfiducia, e l’animo dei Maestri fosse pervaso di pensosa tristezza, le limpide fonti della Scuola dimostrarono la loro inesausta vitalità, e dove gli edifici erano lesionati o requisiti, si improvvisarono svariati adattamenti; si che le lezioni si tennero anche in soffitte, nelle quali permanevano gli squarci prodotti dal cannone.
E tornarono a poco a poco i reduci, e qui ripresero la vita di studio e di preparazione, nella Città duramente mutilata, nell’Università che permane sofferente per le ferite causate dalla guerra e per la insufficienza di mezzi adeguati alla sua attività.
Pisa, ove la guerra sembrò accanirsi con le sue distruzioni, ha dimostrato appunto per questo accanimento, quale importanza ha nella vita sociale, economica e spirituale della Nazione. Perciò Pisa deve risorgere e risorgerà, anche per gli imponderabili valori dello spirito, dei quali è e vuole essere un centro di luce questo Ateneo. Ma la ripresa deve essere rapida e deve contare sul contributo di tutti: Istituzioni estere, Stato, Enti pubblici e privati Cittadini.
L’Ateneo pisano ha trovato nelle Autorità locali e governative una pronta comprensione, ma i mezzi dei quali ha potuto disporre e dispone sono troppo inadeguati al bisogno. Perciò corre il rischio di perdere terreno nella gara con altri centri di studio che hanno avuto la fortuna di avere danni molto minori.
Questo centro universitario, non deve cadere in preda di un pericoloso senso di adattamento e deve contribuire a combatterlo, ove esso permanga, in questa bella ed antica Città ospitale; e pertanto, dal nostro posto di lavoro e di responsabilità, coordinando le energie dei docenti e dei discepoli, prospetteremo al più presto un quadro delle nostre necessità di vita, le quali si fondono con quelle di Pisa, delle province finitime e dell’intera Nazione.
E’ stato doloroso per noi, che viviamo la nostra vita negli istituti di ricerca dedicati al progresso dell’umanità, che amiamo vedere le frontiere come una via di scambio delle ricchezze spirituali e materiali, trovarci in mezzo a tante distruzioni; ma il dolore sarebbe diventato o diventerebbe sconforto al pensiero che la nostra vita potesse ridursi ad una sterile contemplazione di macerie.
Perciò si eleva una ferma domanda di pronta comprensione, in modo che gli organi centrali e periferici possano convogliare in questa Città universitaria le risorse delle quali dispongono.
Se sperequazioni si sono avute, devono essere colmate prontamente, prima che sia troppo tardi.
L’Ateneo di Pisa aveva prospettato le sue deficienze parecchi anni prima della guerra, e fino dal maggio 1930 si era costituita una convenzione per il suo assetto edilizio, con l’apporto da parte dello Stato di 20 milioni di lire.
Il programma fu in buona parte attuato, con la costruzione o l’ampliamento d’importanti istituti scientifici universitari; ma, particolarmente a causa della guerra, i lavori non poterono svolgersi secondo il piano previsto.
Pertanto, in considerazione di questo precedente e dei danni prodotti dalle azioni belliche, ci proponiamo di promuovere una nuova convenzione, perché vari istituti - e specialmente quelli di Chimica farmaceutica, di Patologia chirurgica, di Otorinolaringoiatria, e di Radiologia - sono affatto inadeguati alle ricerche che i nuovi orizzonti della scienza vanno prospettando, e del tutto insufficienti per ospitare la crescente popolazione scolastica.
I locali del palazzo della Sapienza sono congestionati, e così quelli della Facoltà d’Ingegneria; incompleti quelli della Facoltà di Agraria; assolutamente inadatti quelli della Facoltà di Medicina veterinaria. Per questo urgente lavoro di ripresa - che avrà certamente l’appoggio del Prefetto di Pisa, degli Enti pubblici della provincia di Pisa e di quelle la cui popolazione scolastica gravita sulla nostra Università - confidiamo in modo particolare nell’appoggio delle Autorità governative e specialmente nel Ministero dei LL.PP. e dei suoi organi periferici, quali il Provveditorato delle opere pubbliche della Toscana ed il locale Corpo del Genio civile.
Il problema universitario pisano è soprattutto problema di assestamento edilizio della città e degli edifici universitari, tanto più che, prescindendo dalle perdite della guerra, non abbiamo potuto ancora riavere la Casa dello studente e una parte dei fabbricati adibiti ai Collegi.
Molti professori sono rimasti privi dei loro appartamenti e devono adattarsi ad umilianti e dannosi ripieghi. E ciò vale anche per il personale assistente e amministrativo, nonché per quello tecnico e subalterno.
Particolare apprensione ci desta la dura vita dei giovani che non possono trovare, o trovano soltanto a condizioni molto onerose la possibilità di soggiorno in questa martoriata città, che un tempo soleva accogliere, per le sue speciali prerogative, studenti di tutta l’Italia e dell’Estero.
E’ urgente organizzare la mensa universitaria, e ciò ci proponiamo di fare, sviluppando quanto è stato iniziato nel decorso anno.
L’Università vive nella vita dei suoi maestri e dei suoi discepoli; se questo faro dovesse attenuare la sua luce, Pisa potrebbe correre il pericolo di diventare una città di nostalgici ricordi.
Nella valutazione dei valori morali c’è chi può essere tratto in errore dalle cifre che corrispondono al numero degli studenti, ed escludere per questo Pisa dalle grandi università. Essa è stata e deve ritornare tale; ma non bisogna nascondere che le deficienze derivate dalla guerra hanno peggiorato la pericolosa situazione che proviene dall’afflusso verso i grandi centri cittadini, affatto inadatti alla vita universitaria, ma più accoglienti e più lusingatori.
A questo proposito, mi sia permesso di ricordare poche cifre. Prima della grande guerra, nel 1912-13, le Università e gli Istituti superiori Italiani erano popolati di 32.463 allievi; questa popolazione è salita a 76.654 nel 1937-38, ed ha raggiunto la cifra di 236.215 nel 1945-46. Considerando i numeri indici, è passata da 100 a 236, per l’aggiungere la cifra di 738.
In questi stessi anni, Pisa e Roma avevano, rispettivamente, i seguenti numeri di allievi: Pisa, 959; 1.545; 4.055: Roma 4.326 13.823; 36.822. In rapporto a queste cifre, stanno, per Pisa, i numeri indici di 100, 182, 474, mentre per Roma vi corrispondono quelli di 100, 320, 851; il che vuol dire che la popolazione scolastica della capitale è riuscita con un ritmo pressoché doppio di quello riscontrato per la nostra città. Si potrebbe obbiettare che si tratta di un confronto con la capitale d’Italia; ma le deduzioni non sono molto diverse rispetto all’intera Nazione, perché l’incremento numerico della popolazione scolastica di Pisa è circa i 3/5 di quello medio delle università italiane.
Un fattore di grande valore per l’efficienza della vita universitaria è dato dal numero delle cattedre di ruolo. Nel quadro delle 27 università italiane - compresa quella italianissima di Trieste - Pisa occupa il 7° posto, essendo preceduta, a notevole distanza, da Roma, da Napoli, da Torino, da Milano, da Firenze e da Bologna.
Le sperequazioni fra Pisa e Roma sono impressionanti: riferite alle cinque facoltà di Giurisprudenza, Lettere e filosofia, Medicina e chirurgia, Scienze ed Ingegneria, danno a Roma una superiorità di ben 78 cattedre di ruolo.
La Facoltà di Agraria di Pisa, che fu prima a sorgere in Italia e forse nel mondo, lamenta una netta inferiorità rispetto a quelle di Milano, Perugia, Napoli, Firenze e Bologna.
Il numero dei posti di ruolo per le Facoltà di Veterinaria è ovunque inadeguato ai compiti che esse si prefiggono.
A questi problemi è urgente pensare e provvedere, come è urgente pensare e provvedere per il mantenimento dei Collegi esistenti e per la istituzione di nuovi.
Ho finito, e nel porre termine al mio dire, esprimo l’augurio per le migliori sorti del nostro Ateneo e per la Città che lo ospita.
A voi, autorità, la preghiera di accogliere la nostra voce.
A voi, studenti, la consegna di essere degni della fiducia che in voi ripone la Nazione.
Con questi sentimenti, in nome della Legge, dichiaro aperto l’anno accademico 1947-48, 604° dalla fondazione, e sono lieto di cedere la parola al collega prof. Francesco Galdi, che terrà il discorso inaugurale trattando il tema: “La umanità degli studi medici”.
Da: Annuario dell’Università degli studi di Pisa per l’anno accademico 1947-1948.